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Sono ormai settimane che ascolto “Drop” volenteroso di scriverci sù una recensione decente, ma non è facile.

Sicuramente, come i miei lettori affezionati sanno bene, molto è dovuto dalla mia palese incapacità di scrivere recensioni comprensibili. Ma ci amiamo lo stesso. Credo. Comunque non è questo il punto, il punto è che questo “Drop” è davvero un album controverso per la band californiana per eccellenza.

Probabilmente si parla dell’ultimo lavoro in assoluto per i Thee Oh Sees, ed io mi aspettavo i fuochi d’artificio per l’occasione ed invece…

Beh, partiamo da una constatazione troppo poco ribadita, se non proprio volutamente censurata, in molte recensioni: questi non sono i Thee Oh Sees. L’unico nome che accomuna il penultimo album “Floating Coffin” a questo è quello di John Dwyer, il deus ex machina della band, ok, ma dove sono finiti gli altri?

Non è un caso se quindi “Drop” è un miscuglio indefinibile di Thee Oh Sees, Coachwhips e gli esperimenti solisti di Dwyer, con un pizzico di White Fence, ma invece di essere un mix delizioso come vodka e frutti di bosco questo è più come uno di quei frullati di Maurizio Merluzzo.

Senza Lars Finberg alla batteria i ritmi restano blandi, manca la voce acida di Brigid Dawson e ovviamente la furia al basso di Petey Dammit a dare corposità ad un suono etereo e francamente soporifero. In compenso c’è un sassofono baritono (Casafis) e un sassofono contralto (Mikal Cronin? Sul serio? Ora può pure rubarmi il nome del blog!) che non sfigurano.

Piuttosto apprezzabile The Penetrating Eye, un pezzo vecchio scuola, mentre già con Encrypted Bounce i nodi vengono al pettine. Non c’è potenza né coinvolgimento, la canzone in sé non è una merda, ma non c’è il mordente di una Sweets Helicopters o di una Maria Stacks.

Savage Victory per esempio rientra nei canoni estetici, ritmici e melodici che contraddistinguono il sound dei Thee Oh Sees, ma è davvero lontano dagli standard con cui la band ci aveva abituato.

Forse l’acuto dell’album arriva alla fine del primo lato con Put Some Reverb On My Brother, un pezzo ispirato dall’enfant prodige TimWhite FencePresley, che mescola bene la psichedelia soft del primo con il sound di Dwyer. Mi piacciono i cambi di velocità e quel ritmo da disco rotto, quantomeno la posso ascoltare senza distrarmi un secondo sì a l’altro no.

Divertente il surf garage di Drop, inutile Camera (Queer Sound), mentre è davvero strana The King’s Nose. Sì, lo so, “strano” è un termine esageratamente tecnico. Intendo dire che è una roba a metà tra l’indie dei Raconteurs (vi prego, prendete questa affermazione con le pinze, non fracassatemi i coglioni) e i Thee Oh Sees ma in generale si può dire che non sa di un cazzo.

Il primo minuto e mezzo di Transparent World conia un nuovo genere, la porn-drone. Lascio a voi le dovute conclusioni.

Si finisce con The Lens, una prova di assoluto spessore per Dwyer per quanto riguarda la costruzione di un pezzo più appetibile per un mercato diverso dai festival psych garage. Si parla del pezzo più “pop” dei Thee Oh Sees, ma è quantomeno un lavoro quadrato, beatlesiano al punto giusto lasciando Syd Barrett come padrino spirituale degli album precedenti, qui dimenticato. 

Il problema principale di questo album dei Thee Oh Sees è, come dicevo, che non è dei dannati Thee Oh Sees. Dwyer poteva benissimo farsi un progetto parallelo, come ne ha già fra l’altro, e pubblicare questo album senza infangare l’ottima discografia della sua band più famosa.

Una delusione su tutti i fronti, un album poco più che mediocre. 

  • Lo Consiglio: se proprio adori John Dwyer ci sono comunque due o tre spunti interessanti.
  • Lo Sconsiglio: a tutti, sopratutto a chi vorrebbe approcciarsi per la prima volta a questa ottima band. Ascoltatevi “Carrion Crawler/The Dream” (2011), “Floating Coffin” (2013) e “Castlemania” (2011) piuttosto.

E ora qualche video:

Due singoli dall’ultimo album.

Qualche live per ricordarne i recenti fasti.

4 risposte a “Thee Oh Sees – Drop”

  1. Ciao ti seguo saltuariamente, ma quando passo da queste parti trovo sempre stimoli interessanti. Sulla “questione” Thee Oh Sees mi trovi d’accordo: appartengo alla cerchia di chi è letteralmente partito in orbita quando li ha scoperti, oggi questo “Drop” non riesco ad ascoltarlo. Non sono i Thee Oh Sees ed in effetti in pochi lo stanno evidenziando, anche dal vivo JD sta girando con una formazione che nulla ha a che fare con gli originali. Li ho conosciuti l’anno scorso al Radar Festival di Padova (sotto un tendone dove tutti ci siamo riparati da un acquazzone improvviso prima del concerto) e avevo intuito che la band (con quella formazione) era vicina al capolinea. In particolare Brigid (the real secret weapon) mi è sembrata stanca del menage, anche se poi sul palco sono stati come sempre devastanti (i loro concerti sono tra quelli che mi rimarranno per tutta la vita). Per fortuna ci rimango i dischi precedenti, autentici scrigni ricchi di tesori.

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    1. Ciao!

      Non sai quanto ti invidio per averli visti dal vivo, questo piacere l’ho avuto solo in video (argh!), una delle band più deliranti e potenti degli ultimi festival rock. Questi nuovi Thee Oh Sees sono un progetto sterile e inutile, sembra quasi che Dwyer abbia voluto rinnegare quanto fatto in passato con la band. Decisione a dir poco infelice.

      Gli andrebbe anche ricordato che i Coachwhips sono divertenti ma non hanno un briciolo dell’impatto live dei Sees, e i suoi album da solista aleggiano tra la noia e lo sperimentalismo più retorico. Giusto per puntualizzare.

      Perlomeno ci hanno donato tanti album!

      Mi farebbe piacere conoscere anche qualche tuo parere discordante, in questo blog me la canto e me la meno anche troppo!

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  2. Ciao,
    la prima volta che sono passato di qui ho letto una tua recensione di Ty Segall (altro mio trip degli ultimi anni insieme ai Thee Oh Sees) e ho scoperto uno spirito affine, poi ho analizzato la lista dei dischi. che ti sconfinferano e mi è sembrato di guardarmi allo specchio, dal momento che penso di avere sugli scaffali di casa oltre il 90% di quegli album (più qualcuno che hai “dimenticato” ma di questo possiamo parlare in un’altra occasione). Quello che mi ha colpito maggiormente dei tuoi articoli (ne ho letto solo una parte, quelli più vicini ai miei interessi) è proprio l’affinità con il mio “sentire la musica” , una faccenda che coinvolge testa, cuore, pancia, gambe (a volte anche il pisello). Sicuramente su alcune cose avremo pareri discordanti, ma mi intriga di più questa vicinanza (comunanza ?) estetica.

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    1. Beh, diamine, se siamo oltre il 90% dei dischi da amare in comune dovrò fare quattro chicchere con la mia ragazza!

      Scherzi a parte mi fa piacere incontrare virtualmente qualcuno con dei gusti così simili ai miei, devo dire che è piuttosto difficile.

      Ty Segall è uno tosto, forse “Slaughterhouse” è stato il suo canto del cigno e un po’ mi dispiace, forse perché credevo che ci avrebbe infilato un capolavoro presto o tardi (anche se è abbondantemente in tempo). Tra qualche mese dovrebbe uscire il suo nuovo doppio (!) album, le mie aspettative sono alte.

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