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Sonics – This Is the Sonics

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Su Metacritic viaggia sul 8/10, su Pitchfork gli assestano un bel 7 e mezzo, Distorsioni si sbilancia con un 8 netto, Ondarock rimane sul 7 come anche Storia della Musica, solo PopMatters si permette un misero 6. Io ho tolto i voti sul blog, ma per questa occasione voglio sbilanciarmi, perché si parla di una band che conosco bene e di cui ho amato oltremisura l’esordio del 1965, un capolavoro senza tempo. Ecco, per me “This Is the Sonics  dei leggendari Sonics vale un bel 3/10. Bello pieno.

Poco più di una ridicola messa in scena per arrotondare il portafoglio, uno schiaffo in faccia alle origini garage di una band che rappresentò assieme ai Monks un vero e proprio baluardo contro le melodie facilone del Merseybeat. Sporchi, osceni, proto-punk, garage, quello che invece traspare da questa terza “fatica” dei Sonics è la necessita per Gerry Roslie di comprarsi un nuovo set di giacche di pelle.

Come sempre la stampa e i recensori sul web si piegano in due per i loro beniamini, non-ascoltando o ascoltando con una soglia critica sotto i piedi. I Sonics da anni sono tornati a giro, o almeno tre di loro, girando per i festival in tutto il mondo, e abbiamo potuto ben ammirare l’incapacità della band di azzeccare un attacco e di Roslie di urlare come un tempo, macchiette di se stessi, ma comunque divertenti.

Però un album, quello, si deve giudicare, e lo si fa contestualizzandolo come cristo si deve. Secondo Richard Giraldi nella sua disamina su PopMatter, Bad Betty è un pezzo che può benissimo rivaleggiare con The Witch e Strychnine. Due cose: Bad Betty non avrà nemmeno un 1 millesimo dell’influenza di quei pezzi che hanno fatto la storia del garage e del punk, coverizzati per cinquant’anni senza perdere mai la freschezza e la potenza originarie. Seconda cosa, se fosse uscito come pezzo originale nel primo album del ’65 farebbe comunque cagare, è persino meglio Pop Song di Segall e Cronin come garage rock.

Addirittura per Gianfranco Callieri (Buscadero) «è il disco più cattivo, feroce e dinamitardo che possiate sentire nel 2015 (dettaglio  forse, data l’imbarazzante piattezza di tanti lavori in teoria «urticanti», «selvaggi», «annichilenti» etc. etc., non così sorprendente)» ti sono sfuggiti giusto un paio d’album Callieri, o forse il tuo concetto di “cattivo” è più simile a Prince, mentre per me sono i Crime

Infatti “This Is the Sonics” è poco credibile proprio se paragonato alla scena garage odierna, che reinterpreta i Sonics spesso molto meglio dei Sonics stessi. Solamente Andy Macbain con le sue tre band, The Monsieurs, The Marty Kings e i The Ghetto Fighters se magna ‘sto album di garage pop patinato.

Infatti se si escludono i due minuti e trenta di Sugaree, non è nemmeno particolarmente d’impatto come album rock. Sezione ritmica trita e ritrita, riff altrettanto, e Gerry, aiutato da tutta la tecnologia del mondo, per sembrare comunque una imitazione gracchiante di se stesso.

Il garage rock dopo i Sonics si è evoluto eccome, attingendo a piene mani dai cinque da Tacoma come dalle mitiche raccolte (Pebbles), dagli Stooges e dalla psichedelia di Barrett, poi dal voodoobilly dei Cramps, dalla nuova ondata di complessi da un album e via negli anni ’80 (coadiuvati da nuove eccitanti raccolte, come Back From The Grave), dagli Oblivians, si è arrivati a mescolarci progressive (Plan 9), new wave (Jay Reatard) e kraut rock (Thee Oh Sees), e tutto questo passando anche in mezzo a mode che hanno rischiato di uccidere un genere che dell’autenticità fa il suo cardine. E dopo tutto questo i Sonics se ne escono con album di cover in mono. In MONO. La nuova frontiera del low-fi, cazzo.

Ecco, il nuovo album dei Sonics è perfettamente integrato col revival garage della Burger Records, un ultra-low-fi ormai cifra stilistica necessaria per essere considerati “veramente garage”, un sound che se fosse uscito nel ’75 o nel 2015 non cambia niente, tanto è identico a qualunque album dei Troggs, dei Burning Bush, dei Question Mark & The Mysterians, dei Rats, dei gloriosi Seeds, dei mai abbastanza citati Them, dei Music Machine e così via.

Secondo Giampiero Marcenaro su Distorsioni i Sonics danno le paste agli odierni White Stripes e Black Keys. Piuttosto semplice se ci pensate bene, gli Stripes si sono sciolti da tempo, mentre i Keys sono passati dall’essere una cover band dei Sonics a fare sigle per pubblicità di automobili. Forse andrebbero paragonati a Thee Oh Sees, L.A. Witch, Mr.Elevator & The Brain Hotel, Pink Street Boys, Mummies, King Khan, Compulsive Gamblers, Coachwhips, Mooney Suzuki, Crystal Stilts, giusto per citare i più famosi.

Lo volete sapere? Sì, ok, l’album non fa assolutamente cagare. Ma è il massimo del riciclo. Se volete ascoltarvi del grande garage anni ’60 compratevi qualche raccolta, se volete ascoltarvi grandi album di garage contemporaneo prendetevi “Trash From The Boys” dei Pink Street Boys, o “Carrion Crawler/The Dream” dei Thee Oh Sees. Sì beh, suonano diversamente dal 1965, ma questo è perché il garage rock è un genere che si finge basso ma in realtà nasconde il seme dell’arte, quella che ti mostra una nuova prospettiva delle cose che hai sotto gli occhi tutti i giorni. Proprio quello che i Sonics fecero alla grande nel 1965, quando non li conosceva nessuno, e senza fare nessun tour mondiale cambiarono il volto del rock.

[E ce ne sarebbero ancora migliaia, su Psycho per esempio, ma anche su Have Love Will Travel, la loro cover divenne ben presto più celebre dell’originale!]

Un blog a puttane (Verma, The Ghetto Fighters)

Purtroppo è un bel po’ che non aggiorno il blog con la solita merda che vi consiglio, ma ci sono stati dei problemi di vario genere (che perlopiù si limitano alla persistente presenza di una vita reale, quelle con i progetti, il lavoro, lo studio, sì sì, tutte quelle stronzate là).

Ho ascoltato della musica ovviamente, ma senza porgli l’attenzione adeguata per delle recensioni. Sarebbe stato inutile buttarvi qua e là delle recensioni scritte di pancia, anche se ne ho molte nel cassetto, perché avrebbe poco senso. 

Comunque sia tra tutta la robaccia che ho ascoltato volevo consigliarvi qualche ascolto.

Intanto tre band krautrock contemporanee (sì, è tornato il kraut, probabilmente sarà il prossimo revival) che dovreste ascoltarvi, i “veterani” zZz, i miei amati Big Naturals (che sono quelli, a mio avviso, più interessanti in prospettiva) e i Verma.

Verma, il krautpunk moderno

Mi soffermo un attimo sull’esordio omonimo dei Verma, del 2011, un album diviso in tre tracce dove i Tangerine Dream rinascono nella nostra epoca, dove “kosmic rock” non è più un antico suono degli anni ’70, ma qualcosa che di tangibile anche per noi. La cosa bella dei Verma, come anche dei Big Naturals, è la fortissima influenza che il loro kraut ha subito dall’ultima ondata garage psych californiana (sebbene i Verma siano di Chicago e i Big Naturals siano degli stramaledetti inglesi da Bristol).

La sezione ritmica dei Verma è incredibilmente simile a quella dei Thee Oh Sees, che infatti ho sempre denominato kraut a tutti gli effetti, questa commistione tra ignoranza garage e freddezza kraut personalmente mi esalta non poco, spero di trovare nuove band da proporvi in tal senso. Ah, “EXU”, ovvero il secondo album dei Verma uscito nel 2012, sebbene sia meno space guadagna in qualità sei singoli pezzi (stavolta ben sei), e non ho ancora ascoltato gli altri due successivi. Fanno un cazzo di album all’anno questi, porcodemonio.

Il garage sanguigno dei The Ghetto Fighters

Stooges? MC5? Oblivians? Il Ty Segall di “Slaughterhouse”? Tutte favolette della notte in confronto al casino immondo dei The Ghetto Fighters nel loro credo esordio assoluto “The Lost Recording” uscito il mese scorso e il fautore di tutto questo macello è il solito Andy Macbain, lo stesso dei The Monsieurs e dei Marty Kings.

I quattro minuti e un secondo di Hollywood sono l’apertura più devastante dai tempi di “Metal Machine Music”, e io che credevo fossimo al limite con i Running. «Hollywood, that’s were I’m from/ I went out and I got me a gun/ Now I just gotta get outta Hollywood» urla alla Gerry Roslie di Andy Macbain, e a mala pena si capisce qualcosa mentre il riff ultra distorto della chitarra devasta il senso del gusto. Continuo a pensare che Macbain sia un pazzo assoluto, uno dei massimi esponenti del garage punk contemporaneo, dal vivo è una presenza volgare, quasi vomitevole, un cazzo di genio insomma.

Beh, che dire, prima o poi ritornerò a rifocillare il blog delle cose che mi passano per la testa, ma non so bene quando. Intanto vado a fare “le cose serie”.

Mope Grooves, Num Bats, The Marty Kings, Spit Shake Sisters

Se ogni tanto bazzicate su questo blog vi sarete accorti che la frequenza dei post è leggermente diminuita. Sì, beh, potremmo addirittura dire che si è azzerata del tutto, come la voce di Ian Gillian, ma c’è un motivo finalmente esente dalla mia pigrizia: gli impegni extra-virtuali. Dato che questo blog è un hobby, quindi non è un lavoro né ora né potenzialmente, ogni tanto gli faccio prendere un po’ di sana polvere (quella che gli album dei Deep Purple stanno accumulando come uno swiffer nel mio armadio).

E così invece della solita recensione vi propongo quattro album ignoranti dal sottosuolo, robaccia per feccia come me (e voi), effimera ma autentica.

a3482764700_2Lamebrain/Mope Grooves – Split (2012)

Uscito nel 2012 in musicassetta (pubblicare in musicassetta tira più della figa negli U.S.A., costa poco e fa tanto hipster nostalgico di un’epoca che spesso uno non ha nemmeno sfiorato con la memoria) vede nel lato A i bravi Lamebrain sparare un po’ brevissime perle rock, ma nel lato B vede i Mope Grooves rubare la scena con una frenesia DIY di rara coerenza. L’auto-manifesto di Mope Grooves e il realismo demenziale di My First Girlfriend sono ben più che scapestrate nenie garage punk. Il ritmo confuso e urgente di Take The Garbage Out ricorda le prime garage band, My Dick In On The Inside (Of My Brain) è un garage demenziale allucinante, il testo inoltre è piuttosto geniale «if you wanna fuck tonight/ dick is on the inside of my brain». Non è solo punk, ma è punk senza posa, senza il bisogno di esserlo ma perché lo si è. Chiude degnamente I Fell Like 15 Bucks. Recuperate queste perle, non ve ne pentirete.

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a3105976134_2Num Bats – Gentle Horror (2014)

Semplicemente la miglior band grunge in attività, con una voce alla Clementine Creevy (Cherry Glazerr) e un’indole deliziosamente punk. «To die/ you gonna die» credo sia l’inno punk più bello degli ultimi anni, una forma piacevole di dissenso contro la depressione egocentrica che spopola sul web, quell’insano bisogno di avere tutte le attenzioni su di sé suscitando pena e sconforto. Che dire dei Franz Ferdinand spurgati dai loro futili abbellimenti di I’m Broke, c’è pure un pizzico di Black Belles dove non guasta. L’indole “horror” viene fuori particolarmente in pezzi come Tommy So Hungry e Doctor 5 ma è forse l’elemento più forzato dell’album. Nota di merito invece per la “crampsiana” (almeno nelle linee di basso di Sophie Opich) The Other Angry Woman, quattro minuti davvero ben spesi. C’è ancora tanto da migliorare, ma tra le uscite di quest’anno “Gentle Horror” non sfigura eccessivamente.

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a0518920768_2The Marty Kings – XVII (2013)

L’urlo alla Ron Presley di Andy Macbain in My Way è il miglior biglietto da visita possibile per i The Marty Kings, progetto collaterale ai Tunnel Of Love (come anche i The Monsieurs sempre di Macbain), un garage pop rock viscerale con influenze che vanno dal surf alla psichedelia, è demenziale, punk, goliardico, dal vivo è come assistere ad una deflagrazione di corpi umani, immagino sia chiaro che ritengo Andy Macbain tra le menti più fertili di tutto il Massachusetts e del garage in generale. Strascicato in Talk this Way o devoto alla causa di J.T.IV come in When I’m Gone, psichedelico e “barrettiano” in Little Arthur, sempre con un’ironia che lo discosta da tutti gli altri. È dannatamente evidente che Macbain lavori con più efficacia al di fuori del punk dei Tunnel Of Love, album come “XVII” e l’esordio omonimo dei The Monsieurs (2014) sono tra il miglior garage rock degli ultimi anni, da recuperare assolutamente.

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Ehm, l’unico video che ho ho trovato è dei The Monsieurs, ma vale lo stesso, fra l’altro attaccano con l’ottima Kari Anne del nuovo album.

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a0952120887_2Spit Shake Sisters – Overdope/Modern Drugs Make Aliens EP (2013)

Sono inglesi, il che è una bella novità per questo blog. Il loro garage dalla noiosa Brighton è tutt’altro che grigio come il tanto vituperato cielo inglese, ma è imbevuto di LSD e speed, sembra di ascoltare dei Dreamsalon sovreccitati, il tutto aiutato da due chitarre delle volte quasi stoner. Piuttosto banalotti, melodie orecchiabili e niente di che in fondo, ma hanno del potenziale, sopratutto considerando la virata più incazzata che potrebbe prendere il nuovo album (o almeno il video di Blasphemer sembra promettere bene). Un pizzico di Black Lips, due gocce di Ty Segall e un po’ di altezzosità regale. Stiamo a vedere.

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