Archivi tag: cherry glazerr

Free Cake For Every Creature – Pretty Good

10639630_710293182380873_8993110534410430045_n

Why do you write music?
So I don’t have to take anti-depressants.
(Katie Bennett, leader dei Free Cake For Every Creature)

In occasione dell’uscita del nuovo album ormai prossimo sono lieto di consigliarvi ed esporvi “pretty good” (2014), in minuscolo, proprio come il nome della band: free cake for every creature.

Imparentati in qualche modo con The Gerbils e R.E.M., il loro è il pop punk più etereo che abbiate mai ascoltato. E non è tanto per i riff quasi accarezzati, ma per la voce innocente di Katie Bennett e per il suo essere così semplicemente “goofy”. E difatti nel pop punk di questa band non troviamo né la depressione forzata di tanti gruppi contemporanei né le riflessioni filosofiche degli anni ’90, Katie ci racconta il mondo attraverso i suoi occhi, con una lucidità ed un’ironia affascinanti.

Sebbene qualche pezzo sia rubato ai due album precedenti, questo ha un senso perché “pretty good” è il vero primo album dei fcfec, quello dove le insicurezze di “Shitty Beginnings” (2013, fra l’altro è il titolo, per un esordio, più bello di tutti i tempi) e “Freezing” (2014) se ne vanno, e lasciano spazio all’enorme personalità di Katie, che per quanto più che cantare stia sussurrando al microfono, le sue parole sono come urla catartiche che esplodono nel nostro profondo.

Mi ostino, sebbene sia deontologicamente scorretto, a scrivere il nome della band e dell’album in minuscolo proprio per rispettare il loro sguardo sui minuti movimenti dell’anima. Non credo di aver mai letto un testo più punk di too old to be a punk rock prodigy dai tempi dei mitici Violent Femmes. La fragile protesta mossa da una ventiduenne Katie contro chi la la vuole etichettare, una protesta anche troppo leggera per una che si è avvicinata ad un certo tipo di concetti grazie, almeno a suo dire, alle Riot Grrrls!, infatti sembra quasi surreale sentirsi dire:

i look too young yet already feel too old to do a lot of things
like wear a pumpkin pin to work or paint my nails green
and maybe it’s true i’m too old but i won’t let it stop me
i’ll let myself be too young to dye my hair blue
i’ll save it for when i turn seventy-two

ed invece è proprio una rivoluzione bella e buona, ma in piccolo, nel proprio privato, una rabbia che possiamo condividere e capire perché più simile alla nostra. Anche se non sono questi in particolare i problemi che spesso ci attanagliano, sono anche la cosa a cui più assomigliano, altro che Give Peace A Chance o We Are The World!

Ma la protesta è sempre positiva, non c’è mai un solo accenno alla sconfitta nei testi di Katie Bennett, non c’è spazio per l’autocommiserazione, non ci si piange addosso, e questo perché i racconti di Katie sono di una vita piena di scelte, mai statica, non tanto nel senso di viaggiare ma nei moti dell’anima (e questo un po’ ce lo accenna nella seconda strofa di rains even in summer).

C’è fame di presente più che di passato, c’è desiderio di nuovo piuttosto che di vecchio, come nella bellissima chiusa di first show:

$1.89 at stewart’s and a few minutes later
we were sort of drunk together on the roof of a parking garage
in the beginning of December
we were about to play our first show ever
at a bar, and were were a little nervous
but we didn’t go home

il qui, l’ora, senza il bisogno di fare voli pirandici o di citare per la milionesima volta L’Attimo Fuggente, non importa se le cose non sono esattamente come te le eri prefigurate, stai comunque andando avanti, anzi: sei ancora all’inizio.

Quello che differenzia free cake for every creature da band simili come All Dogs, Cherry GlazerrQuarterbacks e i Baby Mollusk di Rachel Gordon, non è una questione tecnica, piuttosto lo troviamo nella diversa visione dell’intimo. Anche i Quarterbacks ci raccontano un mondo intimo con leggerezza e con una dolce ineluttabilità, ma la visione strenuamente positiva e giocosa dei fcfec è unica nel suo genere.

Ci sono ovviamente delle note amare, ma sono sempre mescolate con l’ironia che Katie riesce a comunicarci con una veridicità travolgente, come in don’t go away ahumpf acgroomf o in it sucks hanging out with you (it even more when you leave).

Conclude l’album una cover dei R.E.M., ovviamente: It’s The End Of The World As We Know It (And I Feel Fine).

Credo sia chiaro che quello che Katie Bennett con i suoi Free Cake For Every Creature (adesso in maiuscolo, perché dobbiamo porci terzi nel giudizio) vogliono trasmettere sia che ognuno di noi ha qualcosa che ci fa star bene, il trucco sta nel fare solo quello per tutto il giorno, per tutta la vita, vivere sull’orlo del burrone mentre le fiamme avvolgono l’ambiente che ci circonda, ma sentirsi piuttosto bene.

Ehm, sono stato per parecchio tempo MOOOOOLTO occupato, tra lavoro, università, alcolismo, malattie varie e tanto, tanto, tanto lavoro. Adesso dovrei tornare in pianta stabile a vomitare sciocchezze e ovvietà su questo blog, ma non prometto niente, ok?

Cherry Glazerr – Haxel Princess

08340012

La band di oggi è una piccola realtà californiana a cui sono molto affezionato, il loro primo album dell’anno scorso non l’ho recensito perché, come al solito, sono dannatamente pigro.

Papa Cremp” e il suo etereo shoegaze è un album legato a sensazioni decisamente dream pop piuttosto che garage, a conti fatti è l’album che “MCII” di Mikal Cronin doveva essere nella mente del musicista californiano.

A meno di un anno di distanza esce questo “Haxel Princess”, una pillola indie rock piacevole e con delle sorprese.

La voce dolcissima e le note eteree della chitarra sono di Clementine Creevy, che qualche anno fa chiusa nella sua cameretta scrisse qualche pezzo da mandare alla Burger Records, la quale riconobbe le potenzialità di Creevy e spinse per la formazione della band che ha firmato “Papa Cremp”, i Cherry Glazerr.

Questo trio (chitarra, basso, batteria) da il suo meglio in pezzi come Grilled Cheese e Haxel Princess, con un alternative rock che suona molto meno nineties dell’ultimo album dei canadesi Pack A.D.. Lo shoegaze è davvero mitigato dalla poca propensione di Creevy di fare più casino del dovuto, mantenendo un equilibrio che non ridonda mai.

Alcuni pezzi sono davvero corti, come la nenia dolce e amara di Glenn The Dawg o nella alternative pop Teenage Girl, e in generale le canzoni non superano quasi mai i tre minuti mantenendo l’album leggero e maledettamente modesto. Ma questa modestia non è da intendersi come incapacità, piuttosto come una presa di posizione in confronto all’eccessivo protagonismo di tante personalità dell’underground californiano ora che riviste e blog si sono accorti di loro. Ovviamente questa non è la Loro presa di posizione, ma è quello che ci leggo io nella mia mente contorta.

Per me i Cherry Glazerr rappresentano quanto c’è di buono nel sottosuolo, meno potenti e immensi di band come Has A Shadow, Nun e Harsh Toke, ma sono tre ragazzi autentici con qualcosa da dire, senza doversi per forza auto-incensare ad ogni intervista.

Bloody Bandaid è un piccola perla che mostra le capacità liriche-emotive di Clementine Creevy.

Così a primo acchito vi confesso che preferivo “Papa Cremp”, ma devo anche premettere che la band è davvero giovane e ha ancora il meglio da dare. Alcuni pezzi che presentano nelle live o in qualche approfondimento radiofonico prospettano sorprese. Aspettiamo e vediamo.

  • Link utili: se volete ascoltare tutto l’album cliccate QUI per la pagina bandcamp, se non resistete al fascino indie di Clementine e volete chiederle di prendere un gelato insieme discutendo di Kundera cliccate QUI per la pagina Facebook della band.

Godetevi questa Had Ten Dollaz, probabilmente uno dei pezzi di punta del prossimo album, è uscito credo in questi giorni il 7 pollici:

Dopo un po’ di shopping musicale a Hollywood nel Amoeba Music, cosa avranno acquistato i Cherry Glazerr?