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The Litter – Distortions

The+Litter

Quello che vi propongo oggi è un acquisto sicuro, anche se non di eccelsa qualità concettuale.

Sì perché credo che ogni tanto ci sia bisogno di far girare sul piatto un disco che alla fin fine non abbia chissà quali pretese, ma che faccia quel pizzico di rumore che comunque ci allieta la giornata.

E di rumore “Distortions” ne fa, dato che Warren Kendrick lo volle chiamare così perché l’intero album è caratterizzato dall’uso smodato del fuzz-tone.

Il garage dei The Litter è elettrico oltre ogni immaginazione, le casse sembrano emettere fulmini mentre le tracce si susseguono, il che credo sia un ottimo incentivo per l’acquisto di un album di fottuto rock, no?

Cos’altro hanno questi The Litter? Beh, nulla.

“Distortions” esce nel 1967 sull’onda del successo del 45 giri “Action Woman / ”Whatcha Gonna Do About It”, pubblicato da un’etichetta a me sconosciuta (la Warick). Se consideriamo quanto il garage aveva dato fino al ’67 il disco dei The Litter non sorprende né colpisce per una qualche idea in particolare, sono i soliti cinque ragazzini bramosi di fama che indossano vestiti di dubbio gusto e suonano come un Woody Guthrie impasticcato.

L’anno prima uscì dei The Seeds il loro primo album omonimo, una pietra miliare per il rock, un garage a tinte acide che spesso anticipa il punk (No Escape), era uscito un album pieno di ironia e contenuti serissimi come “Black Monk Time” dei The Monks (Complication), The 13th Floor Elevators, Electric Prunes e Blues Magoos tenevano alto il vessillo psichedelico mentre i Sonics spianavano la strada per il punk duro e puro (Strychnine). I The Litter nel 1967 erano in ritardo per la festa.

Un’altra cosa interessante è che “Distortions” è un album di cover, i Litter se ne fottono altamente di scrivere qualcosa di pugno, massacrano a suon di fuzz-tone gli Who, gli Small Faces, gli Yardbirds, cazzo si prendono pure Spencer Davis Group, non si fanno mancare nulla queste fighette di Minneapolis.

Però lo spirito di quei folli anni c’è tutto in questo album, anzi “Distortions” nella sua povertà concettuale è un disco che suona sporco e vivo come pochi nella storia del rock.

Mai un calo di tensione, mai un momento di noia, mai una pausa. La qualità espressa da Jim Kane, Dan Rinaldi, Tom Murray, Bill Strandlof e Denny Waite è strabiliante, e tutto in rigoroso MONO (tranne che per The Egyptian).

Questo è un album che dovrebbe far riflettere tutte quei dannati musicisti perfettini che se non registrano “da Dio” manco pubblicano un loro ruttino. Eppure a volte non servono nemmeno le idee, occorre solo quella fiamma indomabile che il rock incarna nelle sue esplosioni elettriche.

BenQ DC S1410

L’album si apre con la bellissima Action Woman, un monolite del garage rock presente in qualunque collezione si rispetti su questo nobile genere. Se non ti convince un pezzo così sei messo male.

Via subito a razzo con la cover degli inglesi Small Faces, Whatcha Gonna Do About It? che orfana della voce di Marriott si riprende con delle indemoniate sferzate chitarristiche di Rinaldi. Un classe unica.

Siamo alla terza traccia e già possiamo sentirci pienamente soddisfatti dell’acquisto, perché Codine in questa veste distorta è quanto di più rock si possa immaginare. Lenta, potente, elettrica.

Somebody Help Me è un brit-rock basilare suonato da dei geni.

Substitute è la prima cover degli Who, e passa pieni voti. Anche inspiegabilmente del lotto è il pezzo che ha sofferto di più l’inevitabile scorrere del tempo (in coda c’è spazio pure per The Mummy di Tommy “Zippy” Caplan).

Si conclude il primo lato con la psichedelia stereofonica di The Egyptian.

Parte di corsa I’m So Glad con le solite impressioni elettriche col fuzz-tone che riempiono la stanza di luce.

Seconda e ultima cover degli Who, anche A Legal Matter tiene il passo.

In Rack My Mind si presenta pure un’armonica, ma niente blues o folk music del cazzo, fuzz-tone in funzione e garage incazzato per tre minuti e mezzo.

Soul Searchin’ e Blues One elettrizzano le palle con gaudio. Troppo bravi per essere vero.

Si conclude anche questo giro di giostra, ma per chiudere una chicca: I’m A Man, in una versione veloce, distorta e sporca come non l’avete mai sentita.

Il bello di questi album è che non devi scriverci sopra più di tanto, né ci vuole troppo a convincerti, ti piace il rock? Adori il rumore più sgradevole? Sotto la doccia canti The Witch dei Sonics? Beh, stronzetto, o stronzetta che sia, devi avere questa merda.

  • Pro: è rock gente, che altro volete sapere? Cazzo, certo che con i Pro e i Contro ultimamente sto proprio messo male…
  • Contro: se non ti piace il garage lo terrei lontano due sistemi solari da te.
  • Pezzo Consigliato: le prime tre tracce sono da antologia.
  • Voto: 7/10

Blue Phantom – Distortions

La recensione di oggi è davvero una chicca allucinante. Per ascoltare decentemente questo disco sono finito nella cantina di noto venditore di vinili fiorentino, l’originale è una rarità assoluta nel campo del collezionismo. Certo, mi direte, ci sarà su YouTube (e difatti oggi l’ho trovato per i link), ma un recensore che ascolta un album su YouTube è credibile? Credo che anche la ricerca aiuti la recensione, diventa molto più sentita e attenta proprio perché frutto di uno sforzo (anche se minimo) invece che frutto di un semplice svago girando tra i collegamenti consigliati dal Tubo.

I Blue Phantom non sono molto conosciuti all’infuori dei circoli del collezionismo e non sono da confondersi con i Phantom Blues Band (band blues in attività che vanta collaborazioni con Etta James, Joe Cocker e i Rolling Stones) o con i Blue Phantom Band (band italiana in attività fondata nel ’71, fanno un blues vecchio stile, dal vivo sono indimenticabili) o con le temibili Phantom Blue (le cinque fattucchiere dell’heavy metal).

La band ha probabilmente come factotum il polimorfo Armando Sciascia, dato che il compositore del disco si firma “H. Tical”, celebre pseudonimo del violinista. Siamo nel 1971, Sciascia è stato un grande sperimentatore come dimostrano molte delle sue colonne sonore, difatti per confermare ulteriormente la sua paternità và ricordato come Distortions, il disco che mi appresto a recensire (prima o poi, se non mi perdo in ulteriori digressioni), sia stato usato come colonna sonora di molti film del discusso regista spagnolo Jesús Franco (sì, proprio Jess Franco).

Di certo uno dei più importanti lasciti di Sciascia è stata la fondazione della Vedette, la sua casa discografica, nel lontano 1962. In quell’anno l’eclettico compositore italiano aveva dato la sua arte all’inutile regista Renzo Russo, il film in questione è il noiosissimo Sexy, un delirio di chiacchierate futili e balletti stomachevoli. La Vedette dal canto suo una delle case discografiche sicuramente più attive dell’epoca, e la qualità era piuttosto elevata: si passa dal rarissimo Contrasto dei Pooh, a nientepopodimenoche il primo disco degli Equipe 84, c’è posto anche per il mai abbastanza compianto Giorgio Gaber, il capolavoro dei Metamorfosi Inferno, ma c’è spazio anche per Stefano Rosso! Di certo il colpaccio la Vedette lo fece quando prese il posto della mitica Elektra e pubblicò in Italia nel 1970 Morrison Hotel dei The Doors, uno dei picchi della band americana tornata finalmente al blues che le apparteneva (anche per taluni è invece una netta virata verso idee più rock). Sciascia ha prodotto oltretutto un’altra rarità del panorama italiano: il leggendario Uno dei Panna Fredda.

Il disco dei Blue Phantom viene pubblicato con l’etichetta Spider records, una sotto-etichetta della Vedette dimenticata per strada dall’inefficiente Wikipedia. Dell’ensemble che traduce in musica le indicazioni di Sciascia non sappiamo nulla neppure oggi, un gruppo da studio che molto probabilmente era legato al compositore italiano, quello che sappiamo di certo che uscì solo Distortions e un singolo a lui legato sotto il nome dei Blue Phantom, poi il nulla: niente live, nessuna apparizione in riviste o TV, nessuna paternità riconosciuta, niente. Gran parte di queste informazioni le ritengo sicure, difatti le ho prese dal blog di John’s Classic Rock, in Italia una fonte più che mai autorevole per tutto ciò che concerne il prog made in Italy.

Le influenze derivano certamente dai grandi come Le Stelle di Mario Schifano, qualcosa da Dies Irae (1970) dei Formula Tre, e forse forse dallo sconosciuto quando eccezionale Plays Eddy Korsche – Rock & Blues (1970) dei Free Action Inc., in ambito internazionale c’è tanto dei primi Iron Butterfly,  avrà forse ispirato il disco d’esordio de L’Uovo Di Colombo (omonimo, 1973) e azzardo magari Generazioni (Storia Di Sempre) (1975) dei miei amati E.A. Poe. Il disco è interamente strumentale.

Blue Phantom - Distortions

L’album si apre con una potentissima Diodo. Il riff anticipa in maniera impressionante l’heavy metal inglese più oscuro, mentre la prima variazione con un tastierista sotto acido ci fa tornare in clima psichedelico, un’andirivieni tra riff spettacolari e fughe allucinate.

Metamorphosis ci ricorda che siamo di fronte a degli anonimi che suonano in modo perfetto. Un po’ confuso a tratti, per fortuna la chitarra e la batteria sono ispirate da non so quale divinità musicale. Una chiave di lettura alquanto particolare per il ’71, anche se si presta molto meglio come colonna sonora che come singolo.

Microchaos è una breve perla di saggezza. Riff potenti, suoni da un altro pianeta si intersecano perfettamente, nulla in realtà è lasciato al caos. Questo è un singolo con i coglioni.

L’attacco di Compression per un attimo rimanda a quei torbidi film erotici italiani dei primi settanta che Sciascia certamente conosce fin troppo bene. Per fortuna il suo sviluppo è dedito alla psichedelia più favoleggiante possibile, rimandi con i classici della psichedelia a sfare, un piacere sovra-dimensionale.

Equilibrium riprende un po’ il pezzo precedente, con una profondità maggiore, un tema molto più riconoscibile e un pizzico di Santana (pizzico eh, non mi insultate).

Lato B, si ricomincia col riffone, Dipnoi però è certamente più folle dei suoi precedenti Diodo e Microchaos. Virtuosismi che si susseguono, e mi ritrovo a pensare: questi ci sanno fare di brutto, così mi rendo conto che questo disco vale molto più del suo già folle prezzo da collezione.

Distillation mi fa balzare dalla sedia, un’attacco potentissimo, una cosa del genere se la sognano i Black Sabbath (ci sono tantissime sfumature che rimandano all’heavy metal dalla band di Iommi & Osbourne, comunque l’accostamento – che è stato fatto spesso da altri recensori – è piuttosto difficile per me). Il pezzo dopo qualche minuto parte per i conti suoi, una jam psichedelica di ottima fattura.

Violence è l’ennesima allucinazione corredata di moog e fughe barocche. Il brano è tra i più ispirati del disco, una struttura solida dentro la quale la fantasia dei musicisti capitanati da Sciascia si propaga oltre i limiti consentiti dalla razionalità (esagero un po’, ma è tutta colpa dell’esaltazione di poter ascoltare un rarità di questo tipo).

La calma dopo la tempesta è Equivalence, sostanzialmente una buonissima colonna sonora per un film diretto ipoteticamente da Syd Barrett.

Psycho-Nebulous ha un grande difetto per i miei gusti, inizia come se fosse già a metà pezzo. Mi ha sempre dato fastidio questa pratica, per fortuna mai troppo abusata, quando si cerca di comporre “rock d’avanguardia”. Va bene che il disco è bello ma non è mica Parable Of Arable Land, quindi se magari ti attieni a quanto fatto finora non sputtani tutto nel finale. Comunque Psycho-Nebulous è un chiarissimo caso di riempitivo senza funzione, strano, noioso, di una psichedelia che non ha alcuna funzione se non quella di un fastidioso scampanellio di musicisti sotto acido.

Nella versione CD del 1998, che ho giustamente recuperato solo stamani, sono presenti inoltre Uncle Jim (un bellissimo divertissement alla Barrett, ma arrangiato divinamente) e una versione singolo di Diodo.

Il lavoro è sicuramente un prodotto del tutto inusuale, sebbene le ottime premesse di Sciascia con dischi come Mosaico Psichedelico (1970), in Distortions i suoni e le idee sono inspiegabilmente avanguardistiche, un disco da avere assolutamente per la sua unicità e genialità.*

  • Pro: è un disco unico nel 1971, un caso musicale da studiare e conservare gelosamente.
  • Contro: momenti in cui la follia psichedelica dilagano senza un motivo apparente, a volte la sperimentazione non trova un motivo di essere e dà oggettivamente fastidio.
  • Pezzo Consigliato: Diodo è davvero bellissima, ma anche l’inedita Uncle Jim mi ha esaltato tantissimo all’ascolto.
  • Voto: 6/10

[*ERRATA CORRIGE: come gentilmente fattomi notare nei commenti “Mosaico Psichedelico” è una raccolta postuma mentre il link è riferito a “Impressions in Rhythm and Sound” (qui il link a Circuito Chiuso) album del buon Sciascia del 1970.]