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The Move – Move

the move

Negli anni ’60 sono venute sù così tante band che oggi è davvero difficile fare il punto della situazione.

Un genere particolarmente sfigato è il progressive, oggi noto perlopiù grazie ai gruppi più influenti. Si và dalla musica complessa e consapevole dei Weather Report ai barocchismi degli Yes alla genialità di Peter Gabriel con i Genesis. Purtroppo molte band che furono come un ponte ideale per il prog e i suoi sviluppi vengono tutt’ora ignorate. Tempo fa parlai dei Rare Bird, band eclettica che decise di andare avanti con un hammond, due tastiere, una batteria, un basso e nemmeno mezza chitarra, tirando fuori dal cappello un disco eccezionale nel 1970 come “As Your Mind Flies By”. Oggi invece ci concentreremo su una band molto diversa.

Le influenze che portarono il prog a diventare un genere ben (insomma) definito sono state tantissime, e non tutte d’accordo con loro! Si va dalla psichedelia nel garage rock a John Cage e alle tecniche stocastiche, fino a Anthony Braxton e magari qualcosa dalla musica di fine ottocento.

Comunque nella maggior parte erano band che nascevano sulla scia dei deliranti anni ’50-’60, ragazzi che vedevano nella strumentazione elettrica una via di scampo e un simbolo della lotta contro al generazione precedente, la loro emancipazione, la loro libertà.

Alcuni di essi a forza di sperimentare iniziarono ad interessarsi ai generi suddetti, cominciarono ad affinare la loro tecnica, e sempre in quegli anni iniziarono i primi bisticci tra le band.

Il successo incredibile degli Who portò in quel di Londra una lotta musicale senza paragoni. Ogni quartiere si sentiva in dovere di rispondere, ma la guerra dei mod era una vera e propria guerra a suon di chitarra e batteria!

Tra le band più rappresentative ci sono certamente gli Small Faces, ma è ingiusto che il tempo si sia lasciato dietro una band eclettica come i The Move.

I The Move nascono proprio come risposta a questa situazione musicale, una risposta di tutto punto che racchiudeva in sé alcuni dei maggiori talenti della Londra dell’epoca. Roy Wood fu il filo conduttore della band, dai The Nightriders ai Move fino ai Electric Light Orchestra: la sua sarà una carriera in decisa ascesa, potremmo dunque definire i Move come il momento di passaggio per Wood dall’anonimato alla fama.

Cosa c’è nei The Move che possa far presagire al salto con gli ELO?

Tante cose, anche se al contrario degli ELO i The Move erano un progetto in continuo movimento (come si intuisce dal nome della band), si ispirarono ai Beatles come ai Faces, ai Byrd e ai Creem, e tentarono molto presto, cioè già al secondo disco, di appoggiare appieno il movimento prog inglese.

Nel 1970 con “Shazam”, e nel 1971 con “Looking On” riuscirono a ritagliarsi un posto importante in quella difficile Londra, mischiando pop basilare al prog e a qualche timida sperimentazione.

A mio modestissimo avviso il lavoro più interessante è il primo disco, omonimo ovviamente, del 1968, il quale racchiudeva le esperienze della band dal ’65 fino a quel momento. Fu una band molto vivace politicamente, niente a che vedere con i feroci MC5, ma ricevettero denunce e censure di ogni genere. I loro testi andavano da gente chiusa in cliniche per l’infermità mentale ad attacchi a noti politici, alcuni dei loro pezzi degli ultimi ’60 hanno ritrovato la luce solo negli anni ’90!

The Move - Move

“Move” è un disco pop, con tinte prog, decise virate psichedeliche e qualche tentativo sperimentale (davvero accennato e ingenuo). Con le dritte di Dennis Cordell e della Regal Records Zonophone questa band sembrava pronta per sbancare ovunque.

La Regal fu tra le etichette che unite si trasformarono nella EMI, e gran parte del suo valore lo deve proprio alle orecchie di Cordell, produttore di successi mondiali come “A Whiter Shade Of Pale” (1967) dei Procol Harum e il glorioso “With a Little Help from My Friends” (1969) di Joe Cocker.

Sì, ok, mi sono un po’ perso in seghe mentali come al solito.

Il disco si apre con Yellow Rainbow, da Barrett ai Beatles per i Move c’è un passo, certamente a livello compositivo non hanno niente da invidiare ai secondi, magari peccano un po’ di creatività.

Segue bene Kilroy Was Here (Wood è un trascinatore nato), conferma la psichedelica vena creativa anche (Here We Go Round) The Lemon Tree con una una ingenua sezione d’archi che fa sorridere senza infastidire.

Molto garage la Weekend di Bill and Doree Post, molto Beatles Walk Upon The Waters.

Flowers In The Rain è una di quelle cose per cui ringrazi gli anni ’60. Spensieratezza derivata da un uso poco ragionevole di acidi, con quegli effetti sonori che sarebbero quasi ad un livello narrativo (è presente un effetto temporale). Ricordo che anche Le Orme, nel loro primo disco, nel singolo Oggi Verrà utilizzarono un effetto simile (un po’ più scrauso magari) ma senza donargli questa piccola, timida, valenza narrativa. È comunque un punto a favore per i The Move.

Hey Grandma spinge sul rock, e non possiamo che apprezzare. Il disco fin qui non annoia mai, nessun capolavoro, ma buona e sana musica popular.

Useless Information è un riempitivo semplice senza motivo di esistere. Più divertente e filo-zappiana Zing Went the Strings of my Heart, una nota di colore decisa nell’album.

Daje cogli archi con The Girl Outside, un sound molto italian style, ma non c’è da sorprenderci. I Move hanno avuto un breve ma intenso momento di popolarità in Italia, grazie al singolo Blackberry Way (ideato assieme all’Equipe 84, in Italia è conosciuta come Tutta Mia La Città), addirittura nel ’71 i The Move canteranno in Italiano con Something nel loro disco”Looking On”.

Fire Brigate è simpatica, ma nulla più. Mist on a Monday Morning fa molto primo prog, con l’idea del suono del clavicembalo e gli archi e Wood che canta come un vero lord inglese. Gustoso.

Chiude una versione un po’ infima di Cherry Blossom Clinic, certamente il loro capolavoro, ma in questo singolo c’è solo la potenza di quello che poi sarà atto nell’album successivo, ovvero “Shazam”, dove troneggia senza dubbio una Cherry Blossom Clinic Revisited di ottima fattura, psichedelica e prog oltre modo, uno dei miei pezzi preferiti del ’70 per follia e goliardia.

Insomma, “Move” dei The Move non ha cambiato le nostre vite alla fine di questo ascolto, ma non ci ha nemmeno fatto pentire dei soldi spesi.

  • Pro: un disco da custodire come documento storico, in “Move” potete sentire tutte le influenze che definirono alle orecchie della gente generi come il garage, il prog, la musica psichedelica e il pop raffinato degli ELO.
  • Contro: pochissimo, le ingenuità in questo caso sono un valore aggiunto per me!
  • Pezzo Consigliato: non è di questo disco, ma Cherry Blossom Clinic Revisited è davvero un gioiello perduto dei ’70. Godetevelo.
  • Voto: 6,5/10

Blue Phantom – Distortions

La recensione di oggi è davvero una chicca allucinante. Per ascoltare decentemente questo disco sono finito nella cantina di noto venditore di vinili fiorentino, l’originale è una rarità assoluta nel campo del collezionismo. Certo, mi direte, ci sarà su YouTube (e difatti oggi l’ho trovato per i link), ma un recensore che ascolta un album su YouTube è credibile? Credo che anche la ricerca aiuti la recensione, diventa molto più sentita e attenta proprio perché frutto di uno sforzo (anche se minimo) invece che frutto di un semplice svago girando tra i collegamenti consigliati dal Tubo.

I Blue Phantom non sono molto conosciuti all’infuori dei circoli del collezionismo e non sono da confondersi con i Phantom Blues Band (band blues in attività che vanta collaborazioni con Etta James, Joe Cocker e i Rolling Stones) o con i Blue Phantom Band (band italiana in attività fondata nel ’71, fanno un blues vecchio stile, dal vivo sono indimenticabili) o con le temibili Phantom Blue (le cinque fattucchiere dell’heavy metal).

La band ha probabilmente come factotum il polimorfo Armando Sciascia, dato che il compositore del disco si firma “H. Tical”, celebre pseudonimo del violinista. Siamo nel 1971, Sciascia è stato un grande sperimentatore come dimostrano molte delle sue colonne sonore, difatti per confermare ulteriormente la sua paternità và ricordato come Distortions, il disco che mi appresto a recensire (prima o poi, se non mi perdo in ulteriori digressioni), sia stato usato come colonna sonora di molti film del discusso regista spagnolo Jesús Franco (sì, proprio Jess Franco).

Di certo uno dei più importanti lasciti di Sciascia è stata la fondazione della Vedette, la sua casa discografica, nel lontano 1962. In quell’anno l’eclettico compositore italiano aveva dato la sua arte all’inutile regista Renzo Russo, il film in questione è il noiosissimo Sexy, un delirio di chiacchierate futili e balletti stomachevoli. La Vedette dal canto suo una delle case discografiche sicuramente più attive dell’epoca, e la qualità era piuttosto elevata: si passa dal rarissimo Contrasto dei Pooh, a nientepopodimenoche il primo disco degli Equipe 84, c’è posto anche per il mai abbastanza compianto Giorgio Gaber, il capolavoro dei Metamorfosi Inferno, ma c’è spazio anche per Stefano Rosso! Di certo il colpaccio la Vedette lo fece quando prese il posto della mitica Elektra e pubblicò in Italia nel 1970 Morrison Hotel dei The Doors, uno dei picchi della band americana tornata finalmente al blues che le apparteneva (anche per taluni è invece una netta virata verso idee più rock). Sciascia ha prodotto oltretutto un’altra rarità del panorama italiano: il leggendario Uno dei Panna Fredda.

Il disco dei Blue Phantom viene pubblicato con l’etichetta Spider records, una sotto-etichetta della Vedette dimenticata per strada dall’inefficiente Wikipedia. Dell’ensemble che traduce in musica le indicazioni di Sciascia non sappiamo nulla neppure oggi, un gruppo da studio che molto probabilmente era legato al compositore italiano, quello che sappiamo di certo che uscì solo Distortions e un singolo a lui legato sotto il nome dei Blue Phantom, poi il nulla: niente live, nessuna apparizione in riviste o TV, nessuna paternità riconosciuta, niente. Gran parte di queste informazioni le ritengo sicure, difatti le ho prese dal blog di John’s Classic Rock, in Italia una fonte più che mai autorevole per tutto ciò che concerne il prog made in Italy.

Le influenze derivano certamente dai grandi come Le Stelle di Mario Schifano, qualcosa da Dies Irae (1970) dei Formula Tre, e forse forse dallo sconosciuto quando eccezionale Plays Eddy Korsche – Rock & Blues (1970) dei Free Action Inc., in ambito internazionale c’è tanto dei primi Iron Butterfly,  avrà forse ispirato il disco d’esordio de L’Uovo Di Colombo (omonimo, 1973) e azzardo magari Generazioni (Storia Di Sempre) (1975) dei miei amati E.A. Poe. Il disco è interamente strumentale.

Blue Phantom - Distortions

L’album si apre con una potentissima Diodo. Il riff anticipa in maniera impressionante l’heavy metal inglese più oscuro, mentre la prima variazione con un tastierista sotto acido ci fa tornare in clima psichedelico, un’andirivieni tra riff spettacolari e fughe allucinate.

Metamorphosis ci ricorda che siamo di fronte a degli anonimi che suonano in modo perfetto. Un po’ confuso a tratti, per fortuna la chitarra e la batteria sono ispirate da non so quale divinità musicale. Una chiave di lettura alquanto particolare per il ’71, anche se si presta molto meglio come colonna sonora che come singolo.

Microchaos è una breve perla di saggezza. Riff potenti, suoni da un altro pianeta si intersecano perfettamente, nulla in realtà è lasciato al caos. Questo è un singolo con i coglioni.

L’attacco di Compression per un attimo rimanda a quei torbidi film erotici italiani dei primi settanta che Sciascia certamente conosce fin troppo bene. Per fortuna il suo sviluppo è dedito alla psichedelia più favoleggiante possibile, rimandi con i classici della psichedelia a sfare, un piacere sovra-dimensionale.

Equilibrium riprende un po’ il pezzo precedente, con una profondità maggiore, un tema molto più riconoscibile e un pizzico di Santana (pizzico eh, non mi insultate).

Lato B, si ricomincia col riffone, Dipnoi però è certamente più folle dei suoi precedenti Diodo e Microchaos. Virtuosismi che si susseguono, e mi ritrovo a pensare: questi ci sanno fare di brutto, così mi rendo conto che questo disco vale molto più del suo già folle prezzo da collezione.

Distillation mi fa balzare dalla sedia, un’attacco potentissimo, una cosa del genere se la sognano i Black Sabbath (ci sono tantissime sfumature che rimandano all’heavy metal dalla band di Iommi & Osbourne, comunque l’accostamento – che è stato fatto spesso da altri recensori – è piuttosto difficile per me). Il pezzo dopo qualche minuto parte per i conti suoi, una jam psichedelica di ottima fattura.

Violence è l’ennesima allucinazione corredata di moog e fughe barocche. Il brano è tra i più ispirati del disco, una struttura solida dentro la quale la fantasia dei musicisti capitanati da Sciascia si propaga oltre i limiti consentiti dalla razionalità (esagero un po’, ma è tutta colpa dell’esaltazione di poter ascoltare un rarità di questo tipo).

La calma dopo la tempesta è Equivalence, sostanzialmente una buonissima colonna sonora per un film diretto ipoteticamente da Syd Barrett.

Psycho-Nebulous ha un grande difetto per i miei gusti, inizia come se fosse già a metà pezzo. Mi ha sempre dato fastidio questa pratica, per fortuna mai troppo abusata, quando si cerca di comporre “rock d’avanguardia”. Va bene che il disco è bello ma non è mica Parable Of Arable Land, quindi se magari ti attieni a quanto fatto finora non sputtani tutto nel finale. Comunque Psycho-Nebulous è un chiarissimo caso di riempitivo senza funzione, strano, noioso, di una psichedelia che non ha alcuna funzione se non quella di un fastidioso scampanellio di musicisti sotto acido.

Nella versione CD del 1998, che ho giustamente recuperato solo stamani, sono presenti inoltre Uncle Jim (un bellissimo divertissement alla Barrett, ma arrangiato divinamente) e una versione singolo di Diodo.

Il lavoro è sicuramente un prodotto del tutto inusuale, sebbene le ottime premesse di Sciascia con dischi come Mosaico Psichedelico (1970), in Distortions i suoni e le idee sono inspiegabilmente avanguardistiche, un disco da avere assolutamente per la sua unicità e genialità.*

  • Pro: è un disco unico nel 1971, un caso musicale da studiare e conservare gelosamente.
  • Contro: momenti in cui la follia psichedelica dilagano senza un motivo apparente, a volte la sperimentazione non trova un motivo di essere e dà oggettivamente fastidio.
  • Pezzo Consigliato: Diodo è davvero bellissima, ma anche l’inedita Uncle Jim mi ha esaltato tantissimo all’ascolto.
  • Voto: 6/10

[*ERRATA CORRIGE: come gentilmente fattomi notare nei commenti “Mosaico Psichedelico” è una raccolta postuma mentre il link è riferito a “Impressions in Rhythm and Sound” (qui il link a Circuito Chiuso) album del buon Sciascia del 1970.]