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Podcast – Il new garage oltre gli USA!

Oltre il new garage di Ty Segall e dei Thee Oh Sees c’è qualcosa? Dite la scena francese? Perché quella australiana no? E quella cyperpunk tedesca? E quella psych italiana? E quella weird-punk-sperimentale islandese? In questo episodio di Ubu Dance Party niente Coca-cola per i nostri radioascoltatori, ma i soliti schiaffi e ottima musica che ci compete.

«Che cazzo dici, hanno pure una pagina Facebook
«Ti dico che ci sta pure una lista sempre aggiornata degli episodi sul blog, roba da non credere!»
«Fottuti hipster!»

Nun – Nun

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Quattro synth, un basso, una drum machine, una vocalist, fanno punk.

E, potete scommetterci quello che vi pare, i Nun saranno la vostra nuova band preferita.

Sono di Melbourne, Australia, un’oceano e più di distanza, e difatti il loro sound sembra provenire da una galassia lontana lontana, dove non ci sono eroi né salvatori, il loro punk pop non lascia scampo né fa filtrare un po’ di luce, con loro i synth possono urlare di dolore e sanguinare.

Il tappeto sonoro che ci avvolge ascoltando il loro esordio omonimo è diversissimo dalla darkgaze degli Has A Shadow, eppure l’angoscia è la stessa. Due capolavori geograficamente distanti questo “Nun” e “Sky is Hell Black”, ma al contrario del garage californiano di cui in questo blog parliamo spesso questa musica guarda in faccia la realtà, non si nasconde dietro il wall of sound o un riff ripetuto fino allo sfinimento mentre la fuzz machine sta fumando. Di nuovo.

Parafrasando la nenia alla fine di Suppress Electricity: se guardi il fantasma allo specchio il diavolo ti possederà, in questo album il fantasma è il nostro riflesso, trasparente e fragile, destinato a vagare senza meta su questa terra, alla ricerca di una nuova carne con la quale esprimersi.

Il padrino spirituale di questo album è Videodrome, il capolavoro di David Cronenberg del 1983, citando Harlan (Peter Dvorsky) nel celebre film:

Stiamo entrando in una nuova era selvaggia, dobbiamo prepararci ad essere puri e ordinati e anche forti se vogliamo sopravvivere.

Il che è un modo di pensare diametralmente opposto alla furia giovanile punk, ma che in questo album di trasforma, muta (come le creature di Cronenberg) e diventa suono.

Jenny Branagan è la voce nonché la testa pensante del gruppo, e ad una intervista a Noisey confessa come non sopporta quei ragazzini che dicono di ascoltare solamente Einstürzende Neubauten perché lei è un’onnivora musicale, tanto da apprezzare sia Ministry che Rod Stewart, Coil ma anche Tom Jones.

Ciò non toglie che la corsa disperata di Terror Maze diventi angoscia pura, un film veramente “cronenberghiano”, senza via d’uscita, un’angoscia definitiva.

La copertina dell’album raffigura l’esterno di un condominio di notte, la foto di una grana rovinata, l’aria pesante, potrebbe benissimo essere la locandina di un horror diretto da Tomas Alfredson. La prima traccia, Immersion II è scandita dalle terribili urla di Jenny mentre la musica, che affannata, progredisce in crescendo di tensione e angoscia, diventa sempre più ingombrante fino a riempire tutta la camera non lasciandoci più lo spazio per respirare. Un capolavoro.

Evoke The Sleep è la “hit” di questo inusuale album, ricorda alla lontana il punk degli Alley Cats ma del tutto distrutto dai synth, con un’atmosfera incredibilmente più truce, ineluttabile.

È impossibile per me descrivervi pezzo per pezzo questo album, va al di sopra delle mie limitate possibilità, il carisma di Jenny Branagan è di quelli che restano nella leggenda, in Kino questo è dannatamente evidente. Non c’è un pezzo che abbassi la tensione o la qualità generale, al massimo ci sono quelli che la alzano in modo irresistibile.

La già citata Suppress Electricity, Uri Geller, Cronenberg, Terror Maze, In Blood, è davvero una sequela incredibile di ottima musica, uno stile già definito (ma spero non definitivo), i riferimenti culturali o quelli pop come nel caso di quel pennivendolo di Uri Geller sono incastonati alla perfezione in un mosaico molto più complesso di come si presenta al primo ascolto. In Blood poi è un finale perfetto, non so che dirvi ancora per convincervi ad acquistare ‘sta roba!

Questo synth punk è una meraviglia, una goduria per le orecchie e per la mente, questi Nun, o quantomeno questa Jenny Branagan ha un futuro assicurato non solo nella mia collezione di dischi, ne sono certo.

Per quanto mi riguarda band rivelazione dell’anno.

  • Link utili: se cliccate QUI potrete ascoltarvi tutto l’album su Bandcamp, cliccate QUI per una review scritta bene, mentre cliccate QUI per la pagina Facebook. Se volete saperne ancora di più cliccate QUI per scoprire gli altri alfieri della Aarght Records.

Dreamsalon – Thirteen Nights

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La Captcha Records è un’etichetta davvero interessante, dopo averci regalato i messicani Has a Shadow con quel capolavoro di “Sky is Hell Back” passiamo ad una band certamente meno interessante ma non per questo banale.

I Dreamsalon sono una novità nel panorama garage psych, ma di quelle buone. Vengono considerati una specie di Violent Femmes in salsa psichedelica, il che ci pone delle premesse niente male (oltre che a della aspettative pericolosamente alte).

Qualche EP nel 2012 e tanta gavetta, poi nel 2013 esce “Thirteen Nights”, la prova che Seattle non è più un luogo isolato ma fa parte di una rivoluzione sixteen che imperversa in tutti gli States.. Una volta le scene musicali erano legate ad uno stato o addirittura ad una città (perché anche l’hardcore ha vissuto più stagioni legate a diverse città), adesso con internet le distanze si sono accorciate, le idee scorrono più velocemente, e il sound californiano imperversa anche in Canada (Pack A.D.) come in Messico (i già citati Has a Shadow), e quindi anche la grunge Seattle (alla quale ormai va giustamente stretto il grunge) diventa una assolata costa californiana, dove si suona surf rock tra bikini e birra ghiacciata.

Probabilmente “Thirteen Nights” è uno dei prodotti meno banali recentemente usciti, lo ancora di più è se messo in confronto a band più fortunate come gli Audacity o quel fumo di paglia di Jacco Gardner

Il garage psych dei Dreamsalon spazia tra chitarre che ricordano Dick Dale e le sfuriate di feedback alla Ty Segall, le cavalcate sul basso di Min Yee sono infernali e ammalianti, Matthew Ford calpesta la batteria per poi accudirla esaltandosi in dei passaggi jazz-rock, Craig Chamber a quella chitarra gli fa fare di tutto, la pizzica, la fa urlare, la fa ronzare, la distorce devastandone il suono per poi fare il verso a Syd Barrett (l’unico e incontestabile padrino del rock contemporaneo). Credo sia sempre Chamber a cantare, ma non ho trovato molte informazioni su questa band quindi la butto lì.

Ci sono pezzi davvero notevoli, il giro di basso ipnotico di On The Bus che sfocia in un rabbioso garage punk, il suono avvolgente di Lick o il delizioso riff di Get To Work uscito fuori da un “Nuggets” perduto. C’è pure spazio per la sperimentazione con Every Man, Woman, And Child, punta di diamante dell’album. 

Boh, non che altro dirvi, quantomeno ascoltatelo su Bandcamp, questa amici miei è roba che scotta.

Un esordio notevole, un sound già riconoscibile ed un pezzo come Every Man, Woman, And Child che può solo portare lustro alla Captcha Records. 

L.A. Witch – L.A. Witch

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Poche ciance, comprate questo EP, se non lo trovate andate a Los Angeles e ascoltatevi questa band dal vivo, o trovate un altro modo per fargli avere i vostri soldi

Questo trio tutto al femminile è attivo dal 2012 e da allora ha sfornato solo demo e EP, spaccandosi la schiena tra locali e festival californiani, figlie in parte della darkgaze degli Has a Shadow (che adorano) mentre dall’altra si rifanno al garage drone imperante sulle coste californiane. 

Un pezzo come Get Lost annichilisce l’intera discografia di Ty Segall, You Love Nothing si scopa a pecorella l’ultimo dei Thee Oh Sees, Heart Of Darkness invece è un pezzo carino. Dannatamente carino.

Siamo ancora ai nastri di partenza, è vero, queste signorine devono ancora dimostrare tanto altro, ma per me le premesse sono ottime. 

  • Lo Consiglio: ti piace il garage, ti piace la drone, ti piacciono le spiagge californiane, i festival, le band scapestrate e via dicendo? Compra ‘sta roba.
  • Lo Sconsiglio: non so proprio a chi possa non piacere.
  • Link Utili: clicca QUI se vuoi ascoltare GRATIS l’EP su Bandcamp, clicca invece QUI per la loro pagina Facebook, mentre clicca QUI se vuoi iscriverti alla loro pagina YouTube.

And now qualche video:

Qui di seguito il video di Get Lost:

Una live sufficientemente allucinante:

Il riff vi ricorda qualcosa?

Has a Shadow – Sky is Hell Black

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Questa orribile foto è l’unica che ho trovato di dimensioni decenti, rubata ad una intervista in spagnolo alla band su Noisey: http://noisey.vice.com/es_mx/read/entrevista-a-has-a-shadow

Fanno shoegaze su ritmiche garage rock in salsa low-fi e drone, vengono da Guadalajara in Messico, le loro copertine sembrano concepite da un Odilon Redon dada, si fanno chiamare Has a Shadow e spaccano decisamente i culi.

Le impressioni sonore di “Sky is Hell Black” tramortiscono e sono meno banali di quanto possano sembrare ad un primo ascolto. I giri di basso di Victor “Remi” Garay sono adattissimi per una band drone, la voce dall’oltretomba e l’organo esoterico di Daniel Graciano delineano lo spazio (mentre conduce le semplici variazioni della drum machine), Rodolfo Samperio aggiunge un pizzico di melodia con la chitarra elettrica e ovviamente la distorsione. Musica e testi di Marciano e Garay, testi che si proiettano in questo vastissimo spazio sonoro con una potenza simbolista di rara efficienza.

L’album si apre con John Lennon, il ritmo serrato di drone, garage e shoegaze si mescolano con le liriche (I’m a ghost /I’m the key /of your existential fiction /I’m a ghost) ma siamo ancora lontani dalle vette che seguiranno. 

La title track presenta il primo vero giro di organo riconoscibile, giri che diverranno un leitmotiv di “Sky is Hell Black”, un elemento fortemente garage magnificamente in disaccordo con i muri sonori darkeggianti e i testi. Il ritmo rilassato di Don’t apre alla parte più intrigante del disco.

Can’t Stop the Fall si presenta come un pezzo rubato a dei ipotetici demo di John Dwyer per “Floating Coffin” (2013), la chitarra di Samperio raggiunge acuti che spezzano la trama sonora per poi ricongiungersi come in un loop.

La trama musicale May Never avvolge l’ascoltatore, le immagini suggerite vanno dalla solitudine al bisogno di una ricerca, ma l’esperienza sonora si congiunge con Drive dove un riff portentoso si erge tra le complesse stratificazioni sonore (roba che avercene in “m b v” dei My Bloody Valentine!) completando un quadro musicale meraviglioso. 

Una intro garage o addirittura surf rock per Poison In Me, l’organo di Graciano continua a sviscerare giri garage perfetti, ma siamo ancora lontani dallo standard o dalla classicità se volete, qui i generi sono perfettamente mixati, si può tranquillamente dire che gli Has a Shadow fanno scuola a sé. Ci sono pure i cazzo di coretti, eppure col cavolo che sembra una di quelle banali ballate uscite fuori dal secondo album di Mikal Cronin o dal revival barrettiano di Jacco Gardner, siamo lontani anche dal garage drone di Thee Oh Sees o di “Slaughterhouse” di Segall, è proprio un altro pianeta.

The Way continua sulle stesse ricette sonore finora proposte, mentre il ritmo dark di Untitled di avvicina più ai Joy Division (permettermi la licenza di questo accostamento). 

Grazie alla californiana Captcha Records questo album si è fatto strada tra le band di Los Angeles provocando non poche ripercussioni, prima tra tutte lo splendido sound delle L.A. Witch di cui presto riparlerò in una recensione a loro dedicata.

Per quanto mi riguarda “Sky is Hell Black” è uno degli album più belli dell’anno appena passato, il tempo magari lo riscoprirà come un capolavoro, o forse lo dimenticherà del tutto, eppure questi Has a Shadow già da qualche anno sperimentano la loro darkgaze smuovendo le coscienze di chi ascolta, intanto io cercherò di recuperarmi il più possibile, voi cominciate pure da questo album, non ve ne pentirete.

  • Lo Consiglio: se ti attizzano i My Bloody Valentine e A Place to Bury Strangers ma li vorresti più dark e cattivi hai appena trovato il santo Graal.
  • Lo Sconsiglio: se lo shoegaze ti fa ogni volta alzare dalla sedia per controllare che la puntina sia ancora lì, se a Odilon Redon preferisci sempre e comunque una più comprensibile scuola veneziana del settecento allora questo album non fa per te. Davvero.
  • Link Utili: bene carissimi se volete ascoltarvi TUTTO l’album non avete che da cliccare QUI, se volete dire alla band che avete avuto un erezione ascoltando “Sky is Hell Black” cliccate QUI per la pagina Facebook, mentre se volete saperne qualcosa di più sul catalogo della Captcha Records non avete che da cliccare QUI.

E ora, come di consueto, qualche video:

Videoclip di Drive.

Bruttissimo videoclip di Sky is Hell Black (ma almeno potete sentì il pezzo).

Live micidiale e ipnotica dei nostri.