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Bass Drum of Death – Rip This

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John Barrett e i suoi Bass Drum of Death hanno sinceramente rotto il cazzo.

E va bene uno, e va bene due, ma TREcristosanto-d’album la cui unica sostanza sono dei riffoni belli duri e una retorica garage svilita da un ridicolo compiacimento melodico, sono troppi per chiunque!

Cominciamo dai candidi ricordi. I primi due album dei BDoD li comprai in blocco, avevo ascoltato di sfuggita qualche pezzo in streaming e ne rimasi affascinato, ne volevo ancora, ne volevo di più! Al primo ascolto mi sembrarono una via di mezzo tra Ty Segall e Jack White, un po’ di rumore ben mischiato a dell’easy-listening.

GB City” (2011) aveva una abrasività lo fi che all’inizio me lo rizzò fino al cielo, ma dopo due o tre ascolti mi resi conto che erano DUE idee riciclate all’infinito. Proprio come gli Hot Lunch, band garage dalla Pennsylvania (da non confondersi con l’omonima formazione hard rock da San Francisco), i BDoD nel loro primo album vogliono risultare “autentici” solo grazie all’ausilio di un suono registrato col culo, il che equivale alla pretesa di fare arte rinascimentale disegnando col gesso madonne sui marciapiedi.

Nel 2013 esce “Bass Drum Of Death”, il rilancio su grande scala della band, e io ci sono cascato come un cretino. Attizzato dal riff acchiappabischeri di White Fright acquisto questo 33 giri assieme al precedente, vincendo di fatto il premio come imbecille dell’anno (fra l’altro questo esimio riconoscimento mi è stato riconfermato l’anno scorso con l’acquisto dell’ultimo dei Pink Floyd).

I Bass Drum of Dead proprio come i FIDLAR sono tra le band di punta della West Coast, o almeno sono tra le più famose, e non è di certo un caso. Riprendono i suoni degli Oblivians e dei garagisti anni ottanta, ma li legano a nenie adolescenziali borghesi, infarcendoli di riff piacevoli e melodie cantabili sotto la doccia, uccidendo di fatto il garage rock ma rendendolo appetibile a tutti quegli sfigati che fino a ieri ascoltavano i Foo Fighters.

Proprio come migliaia di formazioni ormai “leggende intoccabili” solo per aver azzeccato un paio di cazzo di riff (come gli australiani Sunnyboys) queste due band continuano a sfornare banalità su banalità, però con la chitarra elettrica (e allora va bene a tutti).

Quest’ultimo lavoro dei BDoD, “Rip This”, non è di meno.

Prima considerazione: il titolo. All’inizio pensavo fosse una reminiscenza di quel “Steal This Album!” dei SOAD, e che magari lo potevi scaricare gratis in ottimi formati (FLAC, ALAC) direttamente dal loro sito. Beh, no.

Seconda considerazione: i nomi dei pezzi. Electric, Left for Dead, Lose My Mind, Route 69 (Yeah), ma che cazzo è? Sembra una parodia di un album garage psych mescolato a citazioni videoludiche da due soldi! A quando Garage Effect, Psychoshock e The Mystic Scrolls?

Terza considerazione: ohmiodiolamusicaèlamerda. Ci saranno sì e no tre o quattro pezzi peggiori di For Blood usciti nel 2014. Signori e signore, i BDoD sono ufficialmente i Green Day del garage rock.

Dal vivo sono già meglio, ma sarà anche perché facendo solo riff su riff non c’è nemmeno un tasso di difficoltà minimo, basta non salire sul palco completamente ubriachi. E con i loro bei faccini la vedo difficile.

Insulsi, noiosi, ripetitivi.

Zig Zags – 10-12

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Non hanno nemmeno pubblicato un solo sudicio album, eppure mi fanno impazzire.

Quando una band unisce garage, punk, psichedelia e metal senza fare un pastrocchio (o della fusion pseudo-intellettuale) per me vuol dire che ha le carte in regola.

Il ritorno progressivo al garage “esoterico” (e passatemela, dai) alla Nuggets partito dalla California non è semplice revival o una moda. Lo sta certamente diventando, basta considerare la sterzata commerciale di Mikal Cronin o la nascita di nuove band copia-incolla come gli Hot Lunch (quelli dalla Pennsylvania non quelli glam metal da San Francisco) ma la furia del rock autentico, fatto di sudore e feedback, resiste strenuamente alla base.

Queste band non sono mosse come nei ‘60s dalla voglia di spiccare il volo seguendo il nuovo sogno Beatles (sarà stato almeno il 96% delle band), o magari proprio contro la distopia Beatles (vedi i Monks), perché oggi non c’è un modello o un nemico, oggi si combatte contro il nulla.

Sono un trio gli Zig Zags, voci acide, chitarre distorte che spaziano dall’hardcore punk fino agli Spacemen 3, batteria spesso martellante, ipnotica. Cosa c’entrano con questa guerra al grande nulla di mia totale invenzione?

Quando la politica repressiva di Reagan negli USA si fece pesante l’hardcore sembrava l’unica risposta possibile (anche contro la plastica zuccherosa che radio e televisione di stato promulgavano), ma in quel caso c’era un nemico da combattere e non c’era nemmeno troppo tempo per pensarci sù. Si imbraccia una chitarra e si registra con gli amici in garage o nella palestra della scuola, era vero rock perché spesso ignorava le regole base per suonare decentemente, facevano le cose così come venivano, lasciandosi trascinare dalla rabbia che a quel punto divenne forma. Per questo molti album del periodo sono straordinari, perché trascendono la fruibilità per accettare la sostanza, non c’era una ricerca estetica a priori nel tentare di riprodurre la sensazione di repressione, ma era questa stessa a visitare le band e a farsi strada nelle pessime registrazioni di buona parte della produzione hardcore.

Il garage contemporaneo, quello senza un nemico ben preciso, trova la sua dimensione ideale nell’interiorità. Non denuncia, semmai ammalia con brusche virate drone e un abuso di ritmi martellanti, costruendo un muro di rumori lancinanti quanto rassicuranti.

Ty Segall è un po’ il ragazzo di città che ha voglia di sfogarsi, mette sul piatto buona musica ma senza chissà quale profondità, i Thee Oh Sees sono la band che hanno sondato meglio finora le possibilità di questo nuovo garage sprofondando nella psichedelia, gli Zig Zags, a mio modesto (modestissimo) avviso saranno quelli che lo eleveranno definitivamente.

Unione ideale tra le jam catastrofiche e anarchiche degli Harh Toke, meno puerili dei Criminal Hygiene, restando nella classica forma-canzone gli Zig Zags combattono questo vuoto che ci circonda senza lasciare un attimo di respiro all’ascoltatore, e lo fanno con una propria personalità.

10-12” è una raccolta uscita in un numero limitato di musicassette e in formato digitale su Bandcamp, sono spizzichi e bocconi di una band in fase di crescita, dove non mancano le banalità come i colpi di genio.

C’è ovviamente una buona parte di garage punk senza pretese (se non quella della fruibilità), parliamo di Randy, Tuff Guys Hands, Turbo Hit (gran bel singolo, fra l’altro), Down The Drain, Eyes, I Am The Weekend, No Blade of Grass, che poi altro non sono se non la base che sorregge la struttura sulla quale  gli Zig Zags svilupperanno il loro sound dal 2012 ad oggi.

Ma il ritmo, la distorsione, quell’helter skelter autistico che inconsapevolmente è la risposta alla desolazione quotidiana (vuota ormai di qualsivoglia senso e futuro) si trovano in Human Mind, Love Alright, Scavenger e Monster Wizard. E aggiungiamo a questo elenco anche la recente Voices of the Paranoid, una versione disillusa e acida dei Thee Oh Sees.

Probabilmente sono in errore nel contestualizzare una musicassetta composta perlopiù di banale garage punk in un discorso così ampio e difficile da decifrare quali sono i nostri tempi, la contemporaneità. O forse no. Fatto sta che qui non si sente la mancanza del Vero Genio come negli album di Ty Segall (sempre in equilibrio tra convenzionalità e grande rock), o quella di una opera davvero compiuta nei Thee Oh Sees (anche se con “Carrion Crawler/The Dream” ci sono andati vicino), la strada che hanno imboccato gli Zig Zags sembra una di quelle che lasciando il segno, se non nella musica quantomeno in chi la ascolta.

  • Lo Consiglio: a chi sta amando questa California e i suoi protagonisti, ma anche a chi cerca del punk decente o della psichedelia d’annata senza per forza cadere nel revival.
  • Lo Sconsiglio: a chi crede siano una band per intellettuali (anche se dalla mia recensione sembrano potenzialmente la band preferita da Heidegger), a chi cerca nel punk qualcosa di più Clash piuttosto che della fottuta psichedelia.
  • Link Utili: per la pagina Bandcamp clicca QUI, per l’altra recensione che ho scritto sulla band invece QUI.

[I lettori attenti si saranno accorti che è sono scomparsi i voti e i vari Pro e Contro che mettevo alla fine di ogni recensione. Ho deciso che era meglio così.]