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Kamikaze Palm Tree – Good Boy

Etichetta: MUDDGUTS
Paese: USA
Pubblicazione: 2019

Dylan Hadley fa parte di quel giro magico che ha ridestato interesse nel rock underground, ovvero White Fence, Mikal Cronin, Ty Segall e tutta la banda. In un’intervista per KEXP John Dwyer ha raccontato della fantastica impressione che gli fece la Hadley come cantante e batterista per la sua band, i Kamikaze Palm Tree, probabilmente una delle realtà più divertenti del panorama rock mondiale – eppure ancora semi-sconosciute.

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The Abigails – Tundra

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Buono! Stai fermo lì! Sì, lo so, il country ti fa cagare, ma solo perché sei uno stronzo supponente. Lo dico per te amico, ti stai perdendo della grande musica.

Ti presento Warren Thomas, il quale sebbene sia cresciuto a suon di punk è venuto sù come un trasognato Hank Williams, la sua è una voce profonda d’altri tempi e ha l’aria di uno che la sa lunga.

I The Abigails nascono dalla necessità di Thomas di esprimere il suo country su un palco, possibilmente in una bettola nascosta nel deserto del Mojave, viaggiando su una roulotte scassata. Eppure questo country-man  dal suono arido e caldo viene dalla garagista Los Angeles, ed è prodotto dalla solita Burger Records, e come se non bastasse uno dei suoi amici più stretti, Wyatt Blair, suona negli psichedelici Mr. Elevator & The Brain Hotel.

Tutto questo non ha niente a che vedere con quel sound da saloon di Always, eppure siamo sempre nella assolata California.

Parla d’amore Thomas (sì, beh, parla di “fica” come piace dire a lui), parla di Gesù, ma se ne frega di credere in qualcosa, lui racconta la vita tramite le potenti immagini bibliche (No Jesus) e i cliché del romanticismo spicciolo, e lo fa come non si sentiva da tempo.

Già nel 2012 con “Songs Of Love And Despair” aveva espresso il suo carisma e il suo magnetismo, ma con “Tundra” (2014) si aggiungono melodie davvero memorabili (The One That Let Me Go) e grandissime cavalcate country. L’universalità di pezzi come Story Of Pain dovrebbe convincervi, non è una questione di suono più o meno nostalgico, ci sono certe cose che possono essere raccontate solo in questo modo, con quella poesia elegante e sofferta, mentre la chitarra viene acidamente pizzicata da un residuo di galera che vi sta fissando da inizio concerto.

C’è qualcosa di immenso in questo “Tundra”, non so se parlare di capolavoro perché oggi qualsiasi cosa è un dannato capolavoro frutto di un incredibile genio, abituati come siamo a non dare alcuna importanza alle parole stiamo umiliando la musica che ci esalta. Diciamo solo che Warren Thomas è un musicista e un ammaliatore, sporco e fragilmente autentico.

Il ritmo incalzante di 29 è un apripista perfetto, il finale strascicato e ironico di Ooh La Lay chiude l’album con meravigliosa auto-ironia.

L’album tiene botta pezzo per pezzo, le liriche di Thomas e la sua forza istrionesca valgono già da sole l’acquisto, poi ci sono quei piccoli capolavori come Medication che decine di band garage avrebbero voluto scrivere (sembra uscita fuori da un album dei The Seeds!), insomma gente, stiamo parlando di uno degli album più piacevoli di quest’anno, non importa se avete un sacco di pregiudizi sul genere, ascoltare questo ragazzo è un buon modo per farvi passare la spocchia.

  • Link utili alla popolazione: se volete ascoltarvi in streaming questa meraviglia non avete che da cliccare forte QUI per la pagina Bandcamp della band, se invece avete bisogno di dire a Warren che al prossimo giro la birra la offrite voi cliccate QUI per la pagina Facebook.

Che dite, ce lo schiaffiamo qualche video?

Cioè, guardate come cazzo sta Warren:

Questa è Black Heil dall’album d’esordio:

Sempre nel nostro Van preferito:

L.A. Witch – L.A. Witch

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Poche ciance, comprate questo EP, se non lo trovate andate a Los Angeles e ascoltatevi questa band dal vivo, o trovate un altro modo per fargli avere i vostri soldi

Questo trio tutto al femminile è attivo dal 2012 e da allora ha sfornato solo demo e EP, spaccandosi la schiena tra locali e festival californiani, figlie in parte della darkgaze degli Has a Shadow (che adorano) mentre dall’altra si rifanno al garage drone imperante sulle coste californiane. 

Un pezzo come Get Lost annichilisce l’intera discografia di Ty Segall, You Love Nothing si scopa a pecorella l’ultimo dei Thee Oh Sees, Heart Of Darkness invece è un pezzo carino. Dannatamente carino.

Siamo ancora ai nastri di partenza, è vero, queste signorine devono ancora dimostrare tanto altro, ma per me le premesse sono ottime. 

  • Lo Consiglio: ti piace il garage, ti piace la drone, ti piacciono le spiagge californiane, i festival, le band scapestrate e via dicendo? Compra ‘sta roba.
  • Lo Sconsiglio: non so proprio a chi possa non piacere.
  • Link Utili: clicca QUI se vuoi ascoltare GRATIS l’EP su Bandcamp, clicca invece QUI per la loro pagina Facebook, mentre clicca QUI se vuoi iscriverti alla loro pagina YouTube.

And now qualche video:

Qui di seguito il video di Get Lost:

Una live sufficientemente allucinante:

Il riff vi ricorda qualcosa?

So Stoned, è in vendita il nuovo 7″ degli Zig Zags!

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Brainded Warrior b​/​w So Stoned” è il nuovo 7″ della skate band da Los Angeles, dopo la furia del primo singolo ora anche quella sana vecchia vena punk-demenziale cara a questi tre mascalzoni. Al contrario di Brainded Warrior stavolta non è registrato con l’aiuto del buon vecchio Ty Segall, per concludere credo sia inutile ribadire quanto sia ultra-figa la copertina di Keenan Keller.

Vi lascio il link della pagina bandcamp dove potrete ascoltare fino alla sfinimento i favolosi riff di ‘sti stronzi: http://zigzags.bandcamp.com/

Và, vi lascio anche ad un set completo registrato in una “Red Light Session” della Converse:

X – Los Angeles

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Secondo disco di questa mia personalissima trilogia californiana punk anni ’80. Ricordo ai cagacazzo e ai precisini di ‘sta grandissima ceppa che non sono gli album più importanti o quelli fondamentali, ma quelli che a me me la alzano di più. Semplice, lineare e schifosamente soggettivo. OK? 

Come dicevo anche per gli Alley Cats siamo in una dimensione punk più vicina a Patti Smith che agli Stooges, e la presenza carismatica di Exene Cervenka lo prova ancora più. Se la Dianne Chai era calata nella dimensione pessimistica degli Alley Cats, la Cervenka dal canto suo è la nuova poetessa maledetta del punk, più arrabbiata e meno raffinata di chi l’ha preceduta.

Sebbene preceda solo di un paio d’anni “Escape From The Planet Earth” (The Alley Cats, 1982) il punk degli X è davvero diverso.

L’alienazione che si prova ascoltando il secondo album degli Alley qui scompare, la rivalsa sociale dei giovani oppressi dalla nuova società industriale trova sfogo in questo frizzante beach punk. Sebbene a mio avviso sia il sotto-genere col nome più idiota di sempre, spacca decisamente i culi.

Come una band di reietti bipolari gli X guardavano al rockabilly anni ’50-’60 come ai Doors, la decadenza di Jim Morrison assieme alla sua decantazione intellettuale (Patti Smith) trovano così un raccordo riuscitissimo con l’infiammata chitarra di Chuck Berry. Dai cazzo, ditemi che non prende bene solo a leggerla ‘sta roba!

Per vostra fortuna è molto meglio ascoltarli gli X.

La band si fondava principalmente sulla voce della Cervenka e quella sporadica del suo bassista (e se non ricordo male anche marito) John Doe (un nome che negli USA si utilizza per quelle persone che giuridicamente nascondo la propria identità reale, o per nominare quelle tombe abitate da scorbutici sconosciuti), un ritmo indiavolato, riff brevi, intensi e geniali e una autenticità spaventosa.

Sono così pochi gli album così punk!

Per quando la band sia convinta che il terzo album, “Under the Big Black Sun” (1982), sia in assoluto il più riuscito, credo sia inutile farvi notare come la rivoluzione dei X sia cominciata con “Los Angeles” il loro esplosivo esordio.

Rivoluzione sì, perché mentre Richard Hell aveva teorizzato il nuovo punk (quella che sarà chiamata new wave) gli X lo rimodellano a loro immagine e somiglianza, con testi che invece di fare dell’introspezione sulla generazione vuota (sì ok, vuota ma da riempire, bravi avete letto l’intervista di Lester Bangs a Hell, siete proprio dei figoni del cazzo) o immaginare una fuga dal nostro pianeta di fango e merda proposta dagli Alley Cats, qui c’è una visione reale della società moderna vista da dei bravi ragazzi californiani, stufi della merda ma che la accettano per quella che è.

Hell fa del punk una filosofia, gli Alley Cats ne fanno misantropia, gli X s’incazzano come delle belve e basta.

Ma una nota che impreziosisce in modo ancora più allucinante questo già tosto album è la produzione di Ray Manzarek. Il mitico tastierista dei Doors viene spesso etichettato come un musicista molto sopravalutato. Che coglionata. Manzarek oltre a produrre questa bellezza suona col suo vecchio hammond, e che robette acide e punk ci tira fuori ‘sto povero sopravvalutato nemmeno non ve lo immaginate.

I pezzi che compongono questo capolavoro sono tutti geniali, uniti da un sound molto preciso (beach punk, che nome di merda…) ma senza mai ridondare, cazzo: sono nove gemme punk tutte di alto livello!

Si parte fortissimo con Your Phone’s Off The Hook, But You’re Not, a cui segue il celebre attacco alla Chuck Berry che introduce a Johnny Hit And Run Paulene, subito dopo una versione irriconoscibile di Soul Kitchen dei Doors, e chissene sei già saturo dalla troppa roba buona, perché il riff bestiale di Nausea, con quelle incursioni strazianti e orgasmiche dell’organo di Manzarek, te la fa rialzare subito. Sveglia amico, stai ascoltando un fottuto capolavoro!

Cosa c’è di più perfetto di una Los Angeles con un testo così:
all her toys wore out in black and her boys had too
she started to hate every nigger and jew 
every mexican that gave her lotta shit
every homosexual and the idle rich

Cosa ti foga di più del ritmo punk di Sex And Dying In High Society, abbastanza anni ’80 da non sfigurare neanche in una radio di GTA Vice City?

Cosa ti attizza di più del l’irreprensibile riff di The Unheard Music, malinconica senza scassare i coglioni?

E la sapete qual’è la cosa più bella? Che anche i due album seguenti sono splendidi.

  • Pro: capolavoro del punk, un disco imprescindibile per gli amanti e per chi vuole farsi una cultura su questo genere.
  • Contro: dura solo 27 minuti.
  • Pezzo consigliato: Los Angeles.
  • Voto: 8/10