Etichetta: Napalm Records
Paese: Svezia
Anno: 2022
Archivi tag: post rock
Rake – The Art Ensemble of Rake/The Tell-Tale Moog
Etichetta: VHF
Paese: USA
Anno: 1995
Black Country, New Road – Ants From Up There
Etichetta: Ninja Tune
Paese: UK
Pubblicazione: 2022
Yard Act – The Overload
Etichetta: Island Records
Paese: UK
Pubblicazione: 2022
Squid – Bright Green Field
Etichetta : Warp Records
Paese: UK
Pubblicazione: 2021
Black Country, New Road – For the First Time
Etichetta: Ninja Tune
Paese: UK
Pubblicazione: 2021
Se è vero che gli Idles devono parecchio ai Fall, allora i Black Country, New Road sono rimasti una cover band degli Slint, e se non c’è niente di male nel cominciare su quel solco non è che in seguito abbiano aggiunto poi molto. Non voglio certamente affermare di fronte al plauso universale che critica e pubblico gli stanno tributando che “For the First Time” sia soltanto un copia-incolla ben riuscito, però credo di poter aggiungere una prospettiva quantomeno critica, sopratutto quando in UK si ignora chi ha davvero rielaborato forme e grammatiche, mentre si è sempre pronti ad esaltare la moda del momento.
Continua a leggere Black Country, New Road – For the First TimeKamikaze Palm Tree – Good Boy
Etichetta: MUDDGUTS
Paese: USA
Pubblicazione: 2019
Dylan Hadley fa parte di quel giro magico che ha ridestato interesse nel rock underground, ovvero White Fence, Mikal Cronin, Ty Segall e tutta la banda. In un’intervista per KEXP John Dwyer ha raccontato della fantastica impressione che gli fece la Hadley come cantante e batterista per la sua band, i Kamikaze Palm Tree, probabilmente una delle realtà più divertenti del panorama rock mondiale – eppure ancora semi-sconosciute.
Continua a leggere Kamikaze Palm Tree – Good BoyCorners – Maxed out on Distractions
Ve li ricordate i Corners vero?
No?
E la mia recensione di inizio ottobre? Niente?
Certo che siete proprio una soddisfazione.
I Corners sono assieme ai The Monsieurs il miglior prospetto garage rock californiano, lo sono sopratutto alla luce delle recenti avventure glam di Ty Segall e la svolta tagliamaroni dei Thee Oh Sees. Dopo il selvaggio ma ponderato esordio targato Lolipop Records, il bellissimo “Beyond Way”, dove i Corners si scontravano col post punk dei Gun Club, ecco che i quattro californiani decidono di cambiare decisamente tono. E genere.
Sì è vero, questo “Maxed out on Distractions” te lo descrivono nelle note come un garage surf rock da spiaggia, da gustare con un mojito leggendo Hemingway, ed invece appena lo piazzi sul piatto e la puntina sfiora i primi istanti di We’re Changing capisci che qualcosa non quadra. Sintetizzatori? E ‘sto ritmo alla Devo? Ma che cazzo s’è fumato stavolta Tracy Bryant? Però… però funziona!
E sì, son proprio cambiati i Corners, quel sound ovattato quasi shoegaze del primo album è scomparso, questa volta i suoni sono caldi e i ritmi delle volte ballabili, questa ondata di anni ottanta è sì del tutto imprevista, ma questi quattro ingegneri del suono la cavalcano con una cura maniacale. Riot sembra un pezzo dei vecchi Thee Oh Sees ma senza la batteria raddoppiata e con Dick Dale alla chitarra, Caught In Frustration sono dei Talking Heads più pragmatici, Buoy con il suo ritmo da marcia punk è una specie di anti-canzone dell’estate, questi ragazzini che compaiono in tutti i festival assieme a garagisti comprovati come Mr. Elevator & The Brain Hotel e Froth sono praticamente l’unica band in controtendenza di tutta la West Coast!
Appena sono arrivato a Love Letters mi sono dovuto fermare per riascoltarla. E ancora. E ancora. I don’t wanna hear the cries/ I don’t care about times/ I don’t wanna know about the love letters/ I don’t believe in no ever after. Con la voce che imita un Ian Curtis stralunato, questo singolo che mi ha conquistato, mi piace l’idea che a qualcuno non abbia voglia di fare qualcosa, è così anni ’80!
La confusione interiore di Maxed out of Distractions con quell’assolo minimale sul finale mi lascia sempre in estasi, un pizzico di Spacemen 3 con The Spaceship a chiudere un album quasi perfetto.
I Corners vanno sostenuti, anzi: vanno incoraggiati! Ty Segall che decide di sposare il glam di Marc Bolan, John Dwyer che dà una svolta beatlesiana ai Thee Oh Sees, quest’anno ce l’hanno fatto a torroncino ‘sti gran bastardi, ma ecco che band come The Monsieurs, Froth, Dreamsalon, Mr. Elevator & The Brain Hotel e Corners non solo hanno ancora le palle e le idee (una accoppiata vincente sotto molti punti di vista) ma hanno anche il coraggio di reinventarsi senza scadere nella banalità!
Con questo “Maxed out on Distractions” la band di Tracy Bryant si avvicina al synth-punk dei Nun, restando comunque ancorata alla scena garage, e riuscendo a sfornare vere e proprie perle come Caught In Frustration, Love Letters e Maxed out on Distractions.
Uno dei miei album preferiti di quest’anno.
- Link utili alla popolazione: volete ascoltarvi ‘sti Corners dato che vi ci ho rotto abbondantemente i cojoni? Bene, basta che voi clicchiate vigorosamente QUI, se volete dirgli che sono proprio dei fighi o sarebbe meglio che zappassero su Minecraft cliccate QUI per la pagina Facebook.
Ci spariamo qualche video? Ma sì, dai:
Eccovi il video (meh) di Love Letters.
Una live di We’re Changing.
Doppia razione live con Sometimes che apriva “Beyond Way” e Buoy da Maxed.
NOVITÀ ALLUCINANTE: dato che voglio ampliare le possibilità di discussione sul blog (la gestione dei commenti di wordpress.com fa cagare) ho aperto una PAGINA FACEBOOK che vi link comodamente QUI. È stata una scelta ponderata, ma che credo potrebbe giovare a chi legge e sopratutto a me. Da quando ho aperto il blog, oltre ai classici insulti intrinsechi nel web, ho conosciuto parecchie persone interessanti che di musica ne sapevano molto più di me (non che ci voglia molto, eh) ed ho imparato tante cose. Adesso vorrei impararne delle altre, vorrei scoprire più opinioni e nuovi album, per cui “amplio” il raggio d’azione del blog anche a Facebook. Insomma, se volte seguirlo pure là per commentare più agevolmente fate pure, sennò chissenefrega. Stronzi.
Nazario Di Liberto – All Waste Town
Domani esce il nuovo album di Nazario Di Liberto, rappresentante di una scena post rock palermitana ancora sterile e legata a musica di vent’anni fa. Di Liberto non vuole innovare questa scena, piuttosto cerca di divertirsi con la sua musica.
Nel 2012 esce “Stasi”, un album etereo e compatto, l’idea di creare un’istantanea se vogliamo emotiva di un momento preciso della nostra/sua vita, ma fortemente difettato da una ricerca musicale praticamente avulsa dalla scena elettronica contemporanea. La musica rimane in superficie come un sottile velo estetico che nasconde una certa povertà espressiva.
Eppure le idee non mancano, come anche la capacità tecnica, e Di Libero ci riprova quest’anno con “All Waste Town”.
Un album che, sebbene sia unitario dal punto di vista del sound, è impregnato di diverse accezioni (post rock, industrial, dream pop, trip hop) e solo in una di queste trova una dimensione che superi il semplice esercizio di maniera.
La frustrazione di Di Liberto nei confronti di questa waste town alla fine non viene quasi mai fuori. È come se mancassero dei tasselli per completare un mosaico ben congegnato.
Ad aprire le danze ci sono Proto_Tipo//3 e Proto_tipo//4, un bel passo avanti nella composizione in confronto a “Stasi”, ma almeno due indietro in confronto alla scena internazionale in cui cerca di evolversi questo nuovo album. In una recensione di Andrea Terenzi di Rockit, piuttosto entusiasta, immagina “All Waste Town” in linea con la “electro/avangarde” in voga nei club berlinesi. Il che, in tutta sincerità, non è affatto un complimento.
Se c’è una elettronica che oggi si può definire di avanguardia è quella degli inglesi Boards Of Canada e dei conterranei Fuck Buttons. I secondi, prodotti da John Cummings dei Mogwai, hanno con il riuscitissimo “Slow Focus” (2013) creato un nuovo standard internazionale a cui la musica di Di Liberto si scosta pesantemente, rimanendo legata a fenomeni di troppi anni fa, ed ad una scena (quella palermitana) priva di spunti originali.
L’affresco a tratti gotico e piuttosto riuscito di Tokyo è figlio di quanto sopra scrivevo, siamo lontani dall’eterea stasi che bloccava espressivamente l’album precedente, perché Tokyo di tutto il lotto è la vera waste town. Ma è un post rock già sentito, senza sferzate sperimentali, il che da una parte è voluto (perché come avevo premesso Di Liberto non vuole rinnovare un linguaggio), ma è comunque un limite. Non manca di certo carattere però le idee sembrano troppo spesso involontariamente riciclate.
Ancora più paradossale la bellissima Useless, con la splendida voce di Sonja Burgì che ricorda il dream pop etereo di Elizabeth Fraser nei Cocteau Twins. Ed è proprio questa atmosfera trip hop a riportare l’album ad un a dimensione anacronistica, come se fosse uscito nel 1999. Useless è davvero un gran pezzo, ma se lo mettiamo in confronto alla produzione trip hop attuale (è uscito qualche giorno fa un buon “Adrain Thaws” di un Tricky secondo la critica internazionale “ritrovato”) suona quantomeno banale.
Munito anche di hidden track (con il bellissimo verso più volte ripetuto: «mortician of feeling»), “All Waste Town” è un album riuscito a metà. Se nella composizione Di Liberto ha fatto passi in avanti, e anche le idee espressive riescono comunque a venire fuori, la musica suona bene o male come un post rock già sentito e risentito, insofferente alle novità più sperimentali e interessanti degli ultimi cinque anni.
Considerando la scena italiana in evoluzione (basti considerare il catalogo della Boring Machines, che per quanto ermetico sta ricevendo il plauso anche della critica più incompetente) c’è ancora molto lavoro da fare, ma per fortuna ci sono tutte le potenzialità.