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Led Zeppelin – II

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[AGGIORNAMENTO DEL 2015: È bello vedere come, a distanza di soli due anni, ci sia stato un grosso cambiamento per quanto riguarda la mia opinione sull’hard rock, e su band come gli Zep. Fare questo blog mi ha aiutato a crescere, scrivere i miei pensieri li ha cristallizzati e resi più “reali”, e al tempo stesso mi ha evidenziato certe incoerenze. Oggi degli Zep salvo solo il primo album, ma ciò non significa che io debba cancellare i miei “peccati del passato”, perché fanno parte di me e della mia personale evoluzione nei gusti e nella critica. Magari un giorno gli dedicherò una monografia, per ringraziarli e al tempo stesso demolirli con una ruspa. Già pregusto i commenti su mia madre…]

Forse con l’estate comincerò a scrivere qualche recensione più contemporanea, intendiamoci: del 2013 ne abbiamo parlato, anche se troppo spesso concentrandoci su residui bellici come i Deep PurpleIggy Pop, David Bowie e Burdon, senza contare l’ultima “fatica” dei Daft Punk e ora ci tocca pure attendere il nuovo album dei Black Sabbath.
Allora perché buttarmi su un disco stra-mega-conosciuto e vecchio come “Led Zeppelin II” o “II” o “il disco dei Led Zeppelin con il collage assieme ai piloti del dirigibile del famoso incidente, un po’ ingiallito”.

Ultimamente va di moda insultare gli Zep, considerati sempre più come dei bravi plagiatori o poco più. Personalmente non credo che gli Zep siano la più importante band rock di sempre, non credo che nessuno lo sia, ognuno ha i suoi meriti e la storia ci aiuta non poco a capirli e a valutarli con oggettività.

I Beatles non hanno di certo portato una rivoluzione concettuale nel rock, al massimo lo hanno denigrato a livello di protesta sociale (è inutile citare Imagine o il testo provocante di Come Together perché non è niente in confronto a quello che il rock fin lì era significato in termini di provocazione), però è innegabile che il loro “sound”, miscuglio di pop, di tanto George Martin e delle mode del momento, abbia scolpito nella mente di molti musicisti un’idea di rock ben precisa e resistente alle avversità del tempo.

Vi parla uno che di dischi dei Beatles ne ha, e alcuni li apprezza in particolar modo, ma che ha anche bisogno di una certa dose di onestà intellettuale.

Il discorso che ho appena fatto sui Beatles si può benissimo estendere a grandissima parte del rock leggero come a tutti i generi che ne derivano, raramente il rock “autentico” che rispetta quell’idea di trasgressione e provocazione si è fatto strada nel mainstream, motivo per il quale non considerare i Beatles come una grande band di rock è stupido, lo è stata per una certa corrente, sì ok: quella più legata al pop e alle mode, ma è pur sempre un rock che lo si voglia o no, e può piacere o far cagare.

A me non piace quasi alcun genere di metal, ma denigrare band come gli Slayer solo perché non mi piacciono oppure perché non rispecchiano la mia idea estetica-concettuale di come dovrebbe essere il rock mi sembrerebbe stupido. Ogni cosa va elogiata o criticata all’interno del suo contesto naturale, se no ogni critica o elogio sarà campato in aria.

Tutto ‘sto casino per dire che ridurre “II” come un disco hard-rock(-blues) di irriducibili plagiatori è davvero idiota.

Jimmi Page ruba qua e là riff o intere canzoni senza rimorsi da ben prima di unirsi agli Yardbirds, ma trovo una certa difficoltà a non accumunarlo a quasi tutto il rock tra gli ultimi ’60 fino ad oggi. Dai Cream ai Mountain si prendeva e si copiava senza problemi, tutti venivano dal blues e dal be-bop (sì, anche dal be-bop), senza contare le più recenti derive della psichedelia e del garage-rock (il rock più autentico, a mio avviso) e i pezzi spesso pluri-plagiati diventando spesso inni generazionali per più generazioni!

Basti pensare alla I’m A Man di Bo Diddley, da grezzo blues a rock vero e proprio con gli Yardbirds (e geniale garage quasi proto-punk con i The Litter), o al caso di Gloria inno garage dei Them ripreso da Hendrix come dai Doors, senza dimenticarci la celebre versione dei Shadows Of Knight.

La linea di confine tra citazione e plagio nella musica è sempre stato molto sottile, fin dai tempi di Corelli! Giudicare una band solo dalla originalità ridurrebbe il numero delle band nel mondo a qualche centinaio, di cui gran parte del tutto inascoltabili.

Se l’originalità folle e controllata dei Magma fa storia e ha un peso nell’arte in generale (assieme alla musica in particolare), quella degli Zep non ha alcun valore, però suona da Dio.

Cos’è cambiato dai New Yardbirds ai Led Zeppelin? Due cose, fondamentali per il sound di tantissimo rock a venire:
il numero delle chitarre
Peter Grant

2

Innanzi tutto non ci troviamo di fronte a un power-trio, ovvero quello che sembrava essere ormai il prototipo per fare rock “duro” dopo Cream, Jimi Hendrix Experience e Mountain. Questo chiaramente deriva dalla line-up precedente, eppure pensate quanto ha influito per l’hard rock delle origini che le band più ascoltate avessero quattro componenti, mentre quello che poi sarà il formato trio dal ’70 in poi vede i suoi maggiori protagonisti in alcune formazioni prog.

La differenza con gli Yardbirds è lampante, Page non si contende più il ruolo di prima donna, lui adesso è la prima donna. Anche se poche band nella storia vengono ricordate con una tale unità e parità come gli Zep (il discorso vale addirittura per John Paul Jones!) non vi sono dubbi su chi fosse la mente dietro il dirigibile, anche se col tempo Plant mostrerà qualche dote compositiva non sempre scadendo nel banale e nel cattivo gusto (ma della sua discografia solista salvo solo due album dall’infamia generale).

Da notare come anche Page fuori dagli Zep abbia perlopiù prodotto allucinanti cagate, e chi si masturba ascoltandosi “Outrider” è un dannato maniaco del cazzo.

Il fatto che Page non sia colui che sta dietro il sound della band (non è un caso dunque se il resto della sua discografia, limitata a delle collaborazioni, sembri una parodia dei suoi primi dischi e di quelli con gli Zep) non deve però farci cadere nel tranello di pensare che fosse l’amalgama magica di Page sui ritmi tribali di Bonham mentre Plant urlava come una ragazzina in calore ad aver donato un sound unico ai dischi degli Zep, perché c’è un fattore ben più importante: Peter Grant, il vero fondatore di questo gruppo.

Grant colse i fattori interessanti degli Zep e li armonizzò al massimo, donandoci così album equilibratissimi come “II”.

Whole Lotta Love è il riff per eccellenza, mi spiace per i sostenitori dei Purple, ma c’è poco da fare. Assieme a band come gli stessi Deep Purple e i Black Sabbath (mentre il sound preso singolarmente per queste band porterà alla nascita di generi diversi fra loro) ovvero band adorate dal pubblico, in particolare americano, avevano una cosa fondamentale in comune: la mancanza di contenuti.

Il rock non è una cosa seria, lo diceva anche Bangs quindi c’è da crederci, ma da qui ad arrivare ai testi di queste tre band ce ne passa di acqua sotto i ponti. Gli MC5 scandalizzavano, Zappa faceva riflettere (e come lui i Fugs, e più di loro i Godz), i Troggs erano eccitanti, gli Stooges erano punk prima di essere punk, ed erano molto più punk di tutto il punk venuto dopo. Chi cazzo erano dunque quei tre là sopra? E sopratutto: ma di che cazzo vaneggiavano? Di figa e Tolkien assieme, di concerti andati a fuoco, di cimiteri atomici, ma che caaaaaaaaaaaaavolo è?

L’unico problema di album per me favolosi come “II”, come “In Rock”, come “Paranoid” è che sì suonano bene, ma di rock, dello spirito del rock, hanno solo gli strumenti! A quattordici anni mi andava pure bene, e vi dirò che io ascolto ancora con estremo piacere tutti gli album degli Zep, e addirittura il mio pezzo preferito è In The Evening dell’ultimo album (caso rarissimo per me che dopo il quarto album una band continui a piacermi), ma oggi è impossibile non rivalutare la portata musicale di queste band storiche dimenticandosi con totale disonestà intellettuale cosa vuol dire fare ed essere rock.

Però smettiamola di rompere il cazzo agli Zep per i plagi o per le palesi copiature non scritte a chiare lettere nel libretto, “II” è un album che fa accapponare la pelle, se si escludono i riferimenti all’epica fantasy (che porteranno ad una deriva nei testi di certo rock e di molto metal che tutt’ora ritengo oscena e indecente) quell’album spacca come poco nella storia. L’attacco allucinante di Page su Bring In On Home (la prima parte è del grandissimo e indimenticabile Sonny Boy Williamson) o il leggendario assolo di Bonham nella sua Moby Dick sono pezzi di rock tutt’altro che mediocri o frutto di una band buona solo a plagiare.

Diogesùcristo, ma poi si parla solo di ‘sti plagi famossissississimi quando in giro c’è della roba sconcertante: avete presente il celebre attacco di Mississippi Queen dei Mountain? Dopo pochi mesi l’uscita di quel gran disco che è “Climbing!” ci fu questo allucinante plagio dei neozelandesi Human Instinct presente in “Stoned Guitar”, Midnight Sun. Mica male, eh? Citazione dite? Quella sì che è una cazzo di vergogna, però toccare lo stoned è tipo reato ora come ora, mentre spalare merda a caso su band come gli Zep fa tanto fighi (e la questione è la stessa).

Ah, mi sono dimenticato di recensire il disco. Vabbè, tanto lo sappiamo tutti a memoria.

  • Pro: difficile dire di ascoltare rock e non avere questo album in casa, o perlomeno è poco credibile.
  • Contro: profondo come una pozzanghera, lyrics degne di The Wanderer.
  • Pezzo consigliato: ma ascoltatelo tutto e basta, cazzo.
  • Voto: 7/10

[è tipo la trentesima volta che cito The Wanderer di Glitter come esempio negativo, vi rendete conto di quanto stia ancora male per quel disco???]

David Bowie, Iggy Pop, Deep Purple, Eric Burdon

101716_NpAdvHover_Fotor_Collage È la dannata stagione degli zombi, centinaia di band del passato, rinvigorite dal dio denaro e da internet, tornano a sfornare dischi che si ostinano ad intasare il mio cesso.

Il fatto che ad una certa età si possano ancora fare dischi piacevoli non è qui messa in discussione. Infatti finché sento dire che “On An Island” (2006) di David Gilmour è ascoltabile, se non addirittura carino, e che “Mighty ReArranger” (2005) di Robert Plant e la sua band dal vivo renda abbastanza bene, sto tranquillo, sto sereno. Ma appena qualche idiota in qualche rivista patinata comincia a vomitare cose come “il miglior disco dei Pink Floyd dai tempi di The Wall” o anche “come, o forse meglio di Physical Graffiti” io mi incazzo come una scimmia.

Ma poi il problema non è tanto il mio, che c’ho pochi soldini e li spendo perché sono stato ammaliato da un critico stronzo che legge i nomi in cover e poi dà il voto senza ascoltare l’album, il problema vero sono proprio quei deficienti che comprano questi dischi e sono d’accordo con il critico! A me non piace dare giudizi assoluti, preferisco insultare l’artista piuttosto che l’ascoltatore, perché ognuno è libero di comprare e amare qualsiasi musica. Ci mancherebbe altro, cazzo. Ma quando si parla di band come i Deep Purple, per l’amor del cielo, si potranno prendere in considerazione gli album precedenti e la storia del fottuto rock, oppure no? Forse dobbiamo metterci a novanta e dire “dai però, Bananas comunque è suonato molto bene” bella figa, allora inizio a comprarmi tutti i dischi di Steve Vai e Joe Satriani così sono a posto con l’anima. Peccato che a me della masturbazione sia venuta a noia qualche anno fa, ora mi piace il Rock.

Tutto questo per dire: non basta il nome, anche la musica, la storia e il contesto sono argomenti che dovrebbero far parte di ogni buona critica a qualsiasi forma artistica. Non tutto quello che ha fatto Leonardo Da Vinci è perfetto, non tutto quello che caga Lou Reed è musica raffinatissima. E così, invece che tediarvi con le mie solite lunghe e laboriose recensioni, stavolta vi butto là qualche impressione di questo genere di album usciti nel 2013, anche perché non meritano un minuto in più del mio tempo.

David Bowie, “The Next Day”: un disco ben costruito da ottimi ingegneri del suono, ben mixato e… basta. Bowie non si spreca nel vendersi come il solito camaleonte, peccato che questo valga per le prime tre tracce, dopo di ché non gli riesce neanche il solito trasformismo e comincia a riciclarsi violentemente. Docet Valentine’s Day, una ballad ammuffita con quel sound così Bowie, ma che per il quale esistono album molto più vecchi e validi. Cosa me ne faccio di “The Next Day”? Di certo Bowie non ha mai spiccato per doti compositive, le cose migliori sono uscite grazie a collaborazioni importanti (Brian Eno e Robert Fripp fra tutti), e questo album lo conferma. If You Can See Me che roba sarebbe? Musica scritta a tavolino, senza anima né idee.

[voto: 4/10]

Iggy and The Stooges, “Ready To Die”: credo sia una presa per il culo. O almeno suona proprio così. È inutile buttare lì miti assoluti come Mike Watt, potevano metterci anche Kermit la Rana, il disco continuerebbe a suonare come la cover band degli Stooges, senza rabbia, violenza, potenza, è più significativa la colonna sonora del film di Spongebob! Di certo la rabbia è un sentimento che mi pervade mentre ascolto questo aborto fatto album, un’inutile sequela di cliché suonati non tanto come se fossero “pronti per morire”, ma piuttosto: “pronti per rapinarvi con un nuovo tour mondiale”. Neanche da ubriaco riuscirei a trovare una giustificazione plausibile per cotanto acquisto.

[voto: 3/10]

Eric Burdon, “‘Til Your River Runs Dry”: per quanto la voce del buon vecchio Burdon sia sempre apprezzata dalle mie casse questo album poteva farselo scrivere da qualcuno che ci capiva qualcosa di musica. Brutto e triste rimescolare le carte di quanto già sentito nella sua monotona carriera solista, pezzi come Devil And Jesus forse possono accontentare vecchi cinquantenni che si lamentano perché “i Clash sono punk quindi fanno cagare” o che “una volta qui era tutta campagna” ma personalmente mi aspetto sempre qualcosa di più, non so perché, sarà irrazionale, però è così, sarà perché ho pochi soldi e non mi piace spenderli in dischi così palesemente inadeguati.

[voto: 3/10]

Deep Purple, “Now What?!”: dai cazzo no! No, no, no, no, no, rifiuto di sentirmi dire da esseri razionali che questo è un buon album, addirittura al di sopra della sufficienza! “Now What?!” dovrebbe essere ritirato dai negozi per salvaguardare la pubblica decenza, ascoltare Vincent Price mi ha quasi ucciso, le orecchie sanguinavano e non riuscivo a fermare le lacrime. Questa non è la cover band dei Deep Purple, questa è la band-parodia dei Deep Purple! Chi ritiene questo album decente non può che ignorare tutta la discografia della band, non ci sono cazzi, oppure non capisce una mazza di rock. Rifiuto a piè pari qualsiasi altra spiegazione, e non mi interessa sentire alcuna difesa a favore di questo scempio assoluto. Se poi le considerazioni sono del tono “però è meglio di Rapture Of The Deep” allora cago mattoni seduta stante. Cazzo, meglio di “Rapture Of The Deep”, allora il Tristan und Isolde di Wagner sembrerà “Glitter” di Gary Glitter. Ma vaffanculo!

[voto: 1/10]