Perché quando si parla della più grande rock band di tutti i tempi spesso stiamo parlando dei Beatles? Se dovessi rispondere a freddo a questa domanda, e non riesco ad immaginarmi nessun motivo per cui dovrei farlo, parlerei dell’incredibile successo planetario della band, la “beatlesmania”, un culto tale che pochissimi artisti della storia della musica possono vantare, lo sanno bene personalità del calibro di Elvis, Michael Jackson, Madonna, Jay-Z, Frank Sinatra, Whitney Houston, Kanye West, e chiunque abbia dominato per anni le varie classifiche di Billboard e sia stato determinante per la cultura pop per di più di una generazione. Ma i Beatles possiedono, almeno nell’immaginario collettivo, una marcia in più in confronto agli artisti che ho appena elencato, ma perché? Erano forse più bravi tecnicamente? Possedevano più estro, più creatività? Hanno saputo gestire meglio la propria immagine negli anni? 

Ovviamente è una questione di lana caprina, già solo decretare una band come “la più grande” è un esercizio adolescenziale, senza nessuno scopo critico. Però quest’aura di leggenda attorno ai Fab Four non produce solamente compilation a palate e biopic di bassa qualità, ma anche una peculiare distorsione di un periodo storico complesso per la musica rock, una vera e propria rinascita salutata però come un’assoluta novità.

I Beatles compaiono sulla scena quando della musica rock ormai non restavano che le ceneri. Il rock and roll anni ’50 era morto in un’incidente aereo, c’erano giusto Elvis e Roy Orbison a tenere botta in classifica, il primo fra l’altro con grande difficoltà a raggiungere le vette che fino al ’62 gli appartenevano di diritto. I generi che vanno forte in radio sono il musical e le colonne sonore per film (proprio tra il ’60 e il ’64 queste avranno una grandissima influenza sulla musica pop inglese). Sotto questo primo strato che oggi definiremmo come il “mainstream”, comparivano in classifica i dischi jazz di Charles Mingus, John Coltrane, Thelonious Monk e Dexter Gordon. Ancora oggi la tra le voci ritenute più iconiche di quel periodo c’era Sam Cooke, artista vicino ai movimenti per i diritti civili dei neri, probabilmente ucciso a soli 33 anni, uno scandalo assurdo che rimane a tutt’oggi insoluto e politicamente rilevante, così come la sua influenza sulla musica soul e il rithmin ’n’ blues. Parlando di artisti seminali un album piuttosto significativo di quella stagione fu l’esplosivo “Live at Apollo” del mai abbastanza compianto James Brown, mentre dal Greenwich Village di New York si alzavano i venti del folk di protesta, una brezza fredda immortalata dalla celebre foto di Suze Rotolo per la cover di “The Freewheelin’ Bob Dylan”.

E il rock? Non potevano certamente solo esserci Elvis e Roy Orbison, giusto? Per quanto Elvis ancora c’avesse un bel pelvis e Orbison ci abbia regalato a posteriori alcuni momenti indimenticabili nella filmografia di David Lynch, ciò non toglie che sia un po’ pochino anche per un genere che era dato per morto dal 1959.

In verità buona parte della produzione rock di quegli anni era fuori dalle classifiche, in un luogo che oggi definiremmo “underground”. A parte le band che derivavano il proprio sound da Buddy Holly e i suoi Crickets o dai complessi vocali alla The Clovers o in stile The Ronettes (il cui spazio sonoro diventava sempre più saturo a causa di un certo Phil Spector), e a parte i vari Lightnin’ Hopkins e John Lee Hooker alla ricerca di una rinascita della scena blues dei fifties sempre più improntata al R&B (Boom Boom è del 1962), l’urgenza espressiva della gioventù irruente di quegli anni si sfogava nel rock strumentale. La comparsa del rock strumentale avvenne in concomitanza con la cultura surf giovanile statunitense, e difatti gran parte della produzione rock tra il ’60 e il ’64 (l’anno di “Meet The Beatles!”) viene spesso criminalmente sintetizzata nella sola espressione «surf rock». Fu questo in realtà un periodo di grandissima sperimentazione e contaminazione dei linguaggi, come tutti i passaggi generazionali che si rispettino, in cui l’abbandono delle forme corali portò ad un approfondimento degli aspetti elettrici ed elettronici della musica rock. Virtuosismo e avanzamento tecnologico andavano di pari passo, tra i gruppi che riuscirono a scalare le classifiche attraverso questo curioso binomio vale la pena ricordare lo scontro fino all’ultima hit tra Ventures, Shadows, Dick Dale, Trashmen, Challengers, Pyramids e Surfaris.

Il rock strumentale e tutto ciò che gli gravitava attorno, nasceva come un genere esclusivamente indirizzato per gli adolescenti, con un piglio molto indipendente e di forte rottura con i valori rappresentati da Bill Haley e i suoi Comets quando suonavano Rock Around the Clock nel leggendario “Blackboard Jungle” di Richard Brooks, regalandogli un successo inaspettato. Non era un rock inclusivo certamente, si erano persa la centralità delle ballad zuccherine in favore della demenza, del ludibrio, della satira sprezzante, spesso le canzoni culminavano in assoli eccessivi oppure in assurde digressioni elettroniche d’avanguardia, tutti elementi che rendevano questa musica difficile da vendere fuori dalla sua bolla, ma l’enorme successo che ebbe nella controcultura americana fece sì che tutti i generi strumentali conoscessero una fortuna notevole in un lasso di tempo piuttosto breve. L’apice commerciale arrivò nel 1962, l’anno di Telstar dei The Tornados, il primo vero successo britannico nella patria del rock and roll, prova concreta del fatto che l’estetica strumentale avrebbe potuto facilmente emanciparsi dalla cultura surf, se ne avesse avuto il tempo. Ma non è così che prosegue la nostra storia, giusto?

It’s time to meet the Beatles

È certo possibile godere dei fiori nella loro forma colorata e nella loro delicata fragranza senza conoscere nulla delle piante sul piano della teoria. Ma chi si propone di comprendere il fiorire delle piante è tenuto a scoprire le interazioni tra suolo, aria, acqua e luce solare che condizionano lo sviluppo delle piante.
[John Dewey, Arte come esperienza, p. 32]

I Beatles si affacciarono sulla scena assieme ad un’ondata di gruppi (non solo inglesi!) che rivendicavano il valore della gloriosa musica di Little Richards e Chuck Berry, pretendendone tutti i benefit, sesso e droga compresi. Da quella massa di gruppi, molti dei quali non duravano il tempo di un singolo, spiccarono fuori diversi complessi, non tutti francamente memorabili, tra cui Jay and the Americans, Gerry and The Pacemakers, i Kinks, gli Small Faces, i Them, gli Hollies, gli Who, i Move, i Dave Clark Five, Billy J. Kramer, i Rolling Stones, le Shangri-Las, i Seekers, Monkees, Herman’s Hermits, Guess Who e via discorrendo, eppure la percezione contemporanea ci porta a pensare che per diverso tempo il mercato fu essenzialmente diviso tra Beach Boys e Beatles. Questo, come il finzionale scontro tra Beatles e Rolling Stones, è il risultato di una deformazione storica difficile da mettere da parte, perché senza quella lente si perdono comunque tantissime informazioni su un periodo decisamente cruciale, informazioni di carattere sociale e antropologico. Di tutti gli articoli polemici e delle colonne sui giornali più autorevoli, delle infinte discussioni sulle prime fanzine, degli scontri ideologici tra DJ e la ferocia della nuova critica rock – più consapevole di se stessa ma anche più polarizzata di adesso, oggi non ci resta nulla se non l’eco di una sola campana. Certamente questo è dovuto alle precise e avveniristiche mosse di marketing che sostennero le band del «nuovo rock» (per citare il buon Riccardo Bertoncelli), ognuna in competizione con l’altra per la trovata più sensazionale o la hit più provocante, una gara estenuante che ad oggi siamo sicuri di poter dire che abbiano stravinto i manager dei Beatles.

Così come è accaduto poi per il soft rock, per il prog, per l’heavy metal, per l’hip pop eccetera, quando un genere esplode il mercato si satura immediatamente di paccottiglia, ogni volta di più grazie alla massificazione degli strumenti necessari per fruire privatamente della musica. Oggi con Tidal, Spotify, Apple Music e Deezer, c’è una tale sovrabbondanza di gruppi e di artisti da far girare la testa, e il mercato insegue quelli di maggior successo modellando anche il resto della proposta musicale su di essi, mentre su Bandcamp o Tik Tok si formano micro-scene che influenzano le nuove generazioni. Gli anni ’60 sono stati i primi a subire una vera e propria industrializzazione di tutta la filiale musicale, tanto che era difficile notare delle reali differenze tra i singoli in cima alle classifiche di quegli anni, non solo nell’estetica musicale ma perfino in quella delle copertine, dell’abbigliamento e nelle liriche! La critica non ha saputo costruire ancora oggi una narrazione che abbia avuto un qualche impatto (popolare) sulla complessità di quel periodo, e ciò che permane nell’immaginario collettivo non sono solo i prodotti di maggior successo, ma una cronologia degli eventi abbastanza sballata.

Ma in questa notevole ondata di nuovi gruppi fatti principalmente di adolescenti brufolosi ed inconsapevolmente rivoluzionari, che cosa suonavano esattamente i Beatles? Perché c’era una bella differenza tra il complesso che faceva faville nei locali di Amburgo e quello di “Love me do”. Il cambio di stile repentino della band non era anch’esso una novità, non è che i Beatles furono scelti tra le altre complessi perché avessero qualcosa di diverso (questa è una narrazione agiografica a posteriori tipica di tutte le biografie di successo), ma perché avevano il giusto mix per sfondare nel mercato crescente della musica melodica strappacuori, loro assieme ad un altro centinaio di adolescenti messi al macello delle major, tutti conditi da promesse di successi imperituri. Da un punto di vista strettamente storico-musicologico dovremmo dire che i Beatles erano in tutto e per tutto un complesso di musica beat. In fondo tra il ’63 e il ’66 sui giornali si scriveva proprio del «beat inglese» e del suo “acerrimo nemico” il «surf americano». Il motivo per cui sono sempre molto restio a categorizzare le band è che poi le etichette hanno un significato storico-contestuale statico, mentre la musica muta in continuazione, così come la sua percezione nell’ascoltatore, sopratutto ad oggi con i mezzi di registrazione ed ascolto a nostra disposizione. La percezione del passato musicale cambia pelle continuamente attraverso film, serie TV, teatro, performance art e le sue forme ibride in streaming, senza dimenticarci dei videogiochi, la forma d’intrattenimento più rilevante degli ultimi 5 anni, e tutti questi elementi fanno sì che il significato della musica cambi costantemente, di generazione in generazione (pensate solo all’impatto enorme nell’immaginario contemporaneo che hanno avuto film come “It Follows” o serie tipo “Strangers Things” nel riscrivere i canoni estetici degli anni ’80, portando anche ad un revival di alcune sue caratteristiche, ma fondamentalmente diverse dalle matrici originali).

Oggi categorizziamo le band inglesi dei primi anni sessanta nel calderone della British Invasion, una sorta di asso piglia tutto per i critici rock. Poi abbiamo le sottocategorie, per cui alcune band finiscono nel merseybeat, altre nel pop, altre ancora nel pop-rock, talune nel blues-rock, poi nel proto-prog e persino nel proto-punk! Per amor di critica se c’è una definizione che calza a pennello per i Beatles è certamente “pop”, non solo per il loro essere “popular” per usare un eufemismo, ma anche per l’influenza sul soft-rock e sul power-pop, per il loro essere “al di sopra” delle singole sottocategorie grazie a quella gigantesca popolarità che aveva tutti i contorni del culto.

Non è quindi solo il rock ad aver cambiato faccia, ma dal 1964 tutta la musica pop subì una profonda trasformazione in ogni campo, dalla produzione alla distribuzione, passando per la radiofonia, i festival, il declino del formato a 45 giri per quello a 33 assieme ad altre questioni, e ciò accadeva per inseguire il successo del nuovo rock. Il cambiamento però non è cominciato con l’avvento delle band sopra citate. Bob Dylan è stato uno dei primi artisti ad aver spostato l’attenzione verso il formato dell’album a discapito del singolo di successo, mostrando che anche la musica pop poteva battersela con la classica e il jazz, e sebbene tanti lo avessero preceduto (mi viene in mente il bellissimo “After School Session” di Chuck Berry), fu comunque suo l’impatto che cambiò le sorti del rock futuro. Il formato a 33 giri era infatti notoriamente quello per la musica “seria”, un tipo di classificazione nata in seno alle grandi case discografiche degli anni ‘40. Ma l’esplosione del secondo rock e della British Invasion accelerarono in modo irrefrenabile il processo di cambiamento in corso, uccidendo di fatto il rock strumentale e mettendo ai margini delle classifiche buona parte della musica classica e jazz, proponendosi attraverso personalità di spicco tipo Dylan, come una musica altrettanto autorevole ed impegnata delle altre. Ma perché i Beatles sono considerati i veri portabandiera di questo periodo traumatico, fortemente divisivo e polarizzante? Perché non gli Stones di Brian Jones o i Beach Boys di Brian Wilson? Perché non magari i Kinks, con la loro influenza sull’hard rock e i loro testi sempre così acuti, perché non gli Who con le loro live infiammanti che mettevano in soggezione chiunque altro?

Tra leggenda e percezione

What were your first impressions of the Beatles?
That they were the worst musicians in the world. They were no-playing motherfuckers. Paul was the worst bass player I ever heard. And Ringo? Don’t even talk about it.
[Quincy Jones rispondendo a David Marchese per “Volture”, 2018]

Sui Beatles è stato scritto tutto e il contrario di tutto, e anche a causa di questo c’è una percezione molto confusa del loro contributo alla storia della musica pop. Si sono spese una quantità infinita di pagine su Tomorrow Never Knows, sull’incredibile voglia degli studi di Abbey Road di mettere in crisi il formato canzone attraverso accorgimenti ingegneristici davvero innovativi per la musica popolare, ma la stessa attenzione non c’è stata quando l’anno prima gli Who pubblicarono con grande fatica Anyway, Anyhow, Anywhere, che possedendo un assurdo assolo in feedback fu considerato dai produttori come un errore di registrazione o qualcosa del genere. Perfino a livello di ingegneria sonora quanta attenzione alla stereofonia dei Beatles e quanta poca a quella degli Shadows negli anni di The Rise And Fall Of Flingel Bunt. Com’è possibile tutt’oggi considerare i Beatles come premonitori della scena punk quando ad Andover c’erano i Troggs? Ha già molto più senso mettere i Beatles nella categoria di quelle band che avranno un certo influsso sulla psichedelia, ma la loro importanza non è stata fondamentale per la nascita del genere, quanto per l’affermazione mondiale di questo.

Ci si sofferma sempre sull’influenza britannica per lo sviluppo del garage rock americano ma poco si è scritto e analizzato allo stesso modo dei gruppi nati negli States come alternativa ai melodici merseybeat, come i Monks o i Fugs. I Sonics sono mille volte più famosi oggi di quando erano giovani e metà del loro repertorio lo si trova fisso nella scaletta di buona parte dei gruppi garage contemporanei. Gli inglesi prediletti da Lester Bangs erano i Troggs, inutilmente buttati nel calderone proto-punk per poi essere comunque messi da parte dalla letteratura critica. Senza contare tutta quella sperimentazione che era già avvenuta negli anni ’50, dimenticata per così tanto tempo che ad oggi è quasi impossibile trovare libri o persino video su YouTube riguardanti quel periodo del rock. Più si scava più appare chiaro che non c’è una sopravvalutazione del fenomeno specifico dei Beatles, quanto in generale dell’impatto della British Invasion sulla scena rock, descritto come unicamente positivo ed egemonizzate (e certamente per le major dell’epoca lo è stato eccome). Di gruppi che suonavano garage ce ne erano ben prima dell’avvento degli inglesi, e anche incredibilmente seminali come i Kingsmen. Fra l’altro tra le due più famose cover di Money (That’s What I Want) di Barrett Strong, quella dei Kingsmen a fine carriera (1966) dimostra la differenza d’approccio tra un rock più trascinante e che oggi molti critici definirebbero proto-punk, ad uno più curato e abbellito (la cover dei Beatles è del ’63) per un pubblico più raffinato, dove in primo piano ci sono gli intrecci vocali invece dell’assolo di Mike Mitchell, e dove agli Abbey Road viene sovrainciso con precisione un ostinato pianoforte per i Kingsmen c’è l’organo di J.C. Rieck, che sporca non poco la riuscita finale del prodotto. Non sto parlando di qualità, ma di approccio, non esiste un approccio giusto o uno sbagliato, ma l’idea storica che l’approccio corretto e rivoluzionario fosse quello delle band inglesi à la Beatles è ancora piuttosto radicato.

Se la realtà quindi era complessa e stratificata, la percezione invece appariva chiarissima e raccontava una storia molto appassionate: quattro giovani dalla brillante Liverpool che scalavano le classifiche con un rock di buon gusto, adatto anche alle mamme, agli zii e ai papà, per nulla banale e sempre accompagnato da una costante ricerca di autorevolezza musicale con l’uso di grandi studi di registrazione e orchestrazioni di alto livello (le idee di George Martin hanno imposto diversi canoni per la musica pop fino ad oggi). Peccato che i quattro fossero invece la rappresentazione plastica del giovane proletario inglese, più interessato alle donne e al successo che al buon gusto, eppure l’opera di rielaborazione pubblica fu totalizzante, tra film e riviste dedicate i quattro erano stati trasformati in perfetti pretendenti dell’alta borghesia . La stessa operazione, solo all’inverso, fu applicata ai benestanti Rolling Stones, che passarono alla storia per quelli sregolati e vicini “alla gente” (come avrebbe dovuto confermare tardivamente il singolo di Street Fighting Man, che invece risultò talmente ambiguo da essere praticamente apolitico, un po’ come la Revolution dei Beatles parlava di rivoluzione ma senza scontri, magari a palle di neve o lanciando dei bacini in direzione dei “cattivi”). La narrazione delle grandi etichette possedeva comunque dei limiti espressivi oltre i quali non si poteva andare, la carriera solista di John Lennon si muoverà proprio contro quella direzione, anche se con una buona dose di utopismo che l’ha sempre caratterizzato. 

Ovviamente il modo con cui noi facciamo esperienza di ogni fenomeno storico è in realtà una deformazione, a volte è una compressione in cui tanti eventi finiscono tutti appaiati in un periodo percepito come breve anche se non lo è stato, delle altre è una visione ideologica legata a degli aspetti culturali contemporanei che cambiano la nostra analisi di certi avvenimenti mettendoli sotto una nuova luce, ma ciò che mi interessa analizzare qui è un fenomeno di costume. Quando parliamo di “grunge” parliamo di Nirvana, ma non succede la stessa cosa con l’hard rock o con l’hip pop. Questo perché l’impatto dei Nirvana è stato culturalmente più efficace e trasversale, superando di gran lunga la qualità della loro produzione musicale. Dire che i Nirvana «siano stati il grunge» è più comunemente accettato che dire che i Genesis «siano stati il prog», piuttosto che i King Crimson o i Van der Graaf Generator. Eppure non si può di certo dire che il ruolo dei King Crimson nel prog sia stato meno influente ed importante di quello dei Nirvana nel grunge. Per cui la questione non è più musicale, ma di costume e società.

Il peccato del successo

Ripeti la stessa cosa per un certo tempo, e diventa gusto. Se invece interrompi la tua produzione artistica dopo aver creato una cosa, essa diventa una cosa in sé e tale rimane. Ma se si ripete un certo numero di volte, diventa un gusto.
[Marcel Duchamp, intervista di James J. Sweeney, Scritti, p. 157]

Sembra praticamente impossibile analizzare l’opera dei Beatles senza lasciarsi prendere dall’agiografia o dalla demolizione ideologica. La prima viene naturale, siamo tutti cresciuti con i Beatles, e il 99% dei musicisti che negli anni ’60 hanno deciso di mettere sù una band lo hanno fatto perché hanno ascoltato una canzone dei Beatles alla radio (anche se poi hanno preso strade diverse, come nel caso dei Byrds o dei già citati King Crimson), questi bias sono difficili da eludere perché la musica, molto più delle altre forme d’espressione umana, è pura emozione, grazie alla sua astrattezza. In neurobiologia infatti la musica è considerata come una tipologia artificiale di stimolazione della varie emozioni umane in un ambiente controllato, questa tramite i suoi idiomi (per usare un termine caro a Leonard Bernstein) è capace di evocare sentimenti che noi traduciamo spesso in narrazioni, con un inizio, uno svolgimento e una fine. Questo piacere artificiale può essere “allenato” tramite lo studio e l’ascolto reiterato, che fortificano certi collegamenti neurali che diventano il nostro punto di riferimento, il nostro gusto per certi versi. La sovraesposizione dei Beatles li ha resi la pietra di paragone per tutto quello che ne ha seguito, ovvio che chi era cresciuto con gli Everly Brothers o i Crickets non gli parevano un granché, infatti all’inizio la band fu presa come una commercialata per il fiorente mercato femminile, e furono anche sponsorizzati in quest’ottica, ma per questo suo nuovo pubblico i Beatles furono l’inizio di una nuova esperienza, quella della musica americana di consumo, esperienza centrale nel mercato internazionale ancora oggi (queste distorsioni esistono anche nello studio accademico della musica, la centralizzazione del pensiero occidentale non è una verità storica ma una percezione della nostra civiltà).

Nei primi anni ’60 le maggiori riviste con i loro critici di punta colpirono durissimo i Beatles, rimanendo storicamente sconfitti dalle vendite sempre più impressionanti della band – una storia che continua a ripetersi, pensate solo a Queen, Green Day, Led Zeppelin, Linkin Park, Black Sabbath, Nickleback e via discorrendo. Ma ciò che veniva criticato alla band non erano solo le gimmick (tipo il taglio di capelli coordinato), ma sopratutto la qualità dell’esecuzione. In una stroncatura del New York Times del 1964 c’era scritto: «La qualità vocale dei Beatles può essere descritta come un’incoerente suono rauco, a mala pena adatto per comunicare i loro testi schematici.» In generale, almeno ai tempi della loro prima tournée statunitense, erano considerati da molti esperti del settore come l’anti-musica, una vera e propria banalizzazione a favore di un abbassamento della soglia di comprensione dell’ascoltatore. Eppure in poco tempo questa sensazione cambiò radicalmente, e i plausi per la band si fecero sempre più numerosi e autorevoli, e mentre il fronte antagonista cominciava ad indebolirsi nelle colonne dei giornali tradizionali, tantissimi nuovi critici si affacciarono sulla scena proprio per amore dei Beatles e misero le basi per il nuovo giornalismo musicale, da una parte le fanzine pop, dall’altra le prime riviste musicali strettamente rock.

Poco prima scrivevo che l’altro approccio problematico all’opera beatlesiana è quello ideologico. Il primo vero e irrisolto peccato della band fu, come spesso accade, quello del successo. La musica dei Beatles piaceva, tantissimo, e prima di “Rubber Soul” il 99% del pubblico tipico della band era composto effettivamente da ragazzine in delirio ormonale. Quante volte ancora oggi il gruppo che esce dall’anonimato e conosce finalmente il successo internazionale viene tacciato di tradimento dai suoi fan storici? Questo aspetto l’antropologia lo spiega con scientifica crudeltà, siamo animali sociali che vivono in società gerarchiche, e la conoscenza ha un suo ruolo nelle gerarchie delle nostre tribù. Una volta che una conoscenza non è più esclusiva perde il suo effetto persuasivo sul resto del gruppo, diventa popolare, quindi inutile. Oltre a questo ci sono anche le prese di posizione aprioristiche sempre dettate da logiche ideologiche. Una critica che ha come riferimento valoriale l’icasticità espressiva vedrà nei Beatles un gruppo formato a tavolino costruito per fare soldi con le pubblicità e i film di seconda categoria. Una critica improntata sugli aspetti più avanguardisti invece noterà la derivazione dei Beatles in tutti gli aspetti melodici, e sosterrà l’inutilità della loro ricerca laddove perlopiù dovuta a degli studi di registrazione esclusivi (e anche quando frutto dei quattro, comunque in ritardo su altri artisti meno conosciuti dal grande pubblico). Come vedete però l’approccio non è mai immediato, esperienziale, ma filtrato dal fatto che i Beatles siano a loro malgrado portatori di concetti e significati che offuscano il prodotto musicale di per sé

Personalmente non credo che nessuno si offenda nel dire che i Beatles siano stati la più grande rock band di tutti i tempi, anche perché è un’affermazione talmente assurda da non avere alcun significato. Così come lo sarebbe sostituendo i Beatles con qualsiasi altro artista o band presa singolarmente. Non c’è un modo oggettivo per decretare l’artista “migliore”, chiunque proponga questo tipo di pensiero lo sta facendo attraverso una precisa idea di estetica o di classificazione, che è quindi opinabile alla radice. Il “migliore” è quello che ha più album venduti? Il “migliore” è quello che ha sperimentato di più? Il “migliore” è quello che ha provocato più? Perfino a livello tecnico non c’è unanimità tra gli esperti su quanto i Beatles fossero bravi o scarsi, articoli come l’intervista di Quincy Jones a Vulture stonano gravemente con altri esperti in materia. E questo non perché non ci sia modo di capire se quella particolare soluzione di Ringo Starr sia dovuta ad un’idea straordinaria o ai suoi limiti tecnici, ma perché tutto dipende dalla prospettiva con cui si vuole capire la musica della band. Non sono pochi i video su YouTube in cui ci viene spiegato che il motivo per cui la musica dei Beatles fosse così straordinaria dipendesse esclusivamente da Ringo, piuttosto che soporifere analisi su chi tra Paul e Joh fosse il miglior songwriter, oppure di come le influenze indiane abbiano cambiato l’approccio artistico e spirituale di George Harrison. Tutto questo spesso a discapito della musica stessa, così l’apparente scomposta apertura di Drive My Car o l’inaspettato feedback in I Feel Fine diventano aneddoti senza alcun peso critico, futili medaglie al valore senza contesto, elementi di una storia che ha un senso solo nella prospettiva biografica. 

Questa infinita discussione sulla qualità di ogni membro della band è figlia di una precisa e spietata campagna di marketing che con i Beatles toccò il suo apice, ma che a ben vedere seguirà ogni nuovo fenomeno musicale dopo gli anni ’60. Fu George Harrison alla fine degli anni ‘80 ad asserire che i veri due “quinti” Beatles non fossero né George Martin né Brian Epstein, ma bensì i due loro manager e p.r. Derek Taylor e Neil Aspinall, il secondo già amico di Pete Best prima ancora che i quattro partissero per Amburgo. Buona parte delle liti più feroci erano dipese dalla relazione tra McCartney e Lennon con i loro manager, i Beatles come prodotto erano la sintesi di ben più che quattro teste. Non era forse dell’ottimo marketing le durissime critiche ricevute dalla band durante i primi tour internazionali, perlopiù contro il loro atteggiamento di indifferenza nei confronti dell’isteria di massa che provocavano? Non era forse marketing l’attenzione asfissiante sulle parole di Lennon su Gesù, o l’odio irrazionale verso Yoko Ono? Probabilmente è vero che il loro storico incontro con Dylan cambiò radicalmente le dinamiche nel gruppo, ma non intaccò in alcun modo quelle del marketing attorno a loro, che tra film dimenticabili e riviste ufficiali (come il leggendario “Beatles Monthly”) hanno posto le basi per il mercato odierno delle star del pop mondiale. 

Si può dire qualcosa di oggettivo, please?

Now, the point I want to make is that such oddities as this are not just tricks or show-off devices. In terms of pop music’s basic English, so to speak, they are real inventions.
[Leonard Bernstein durante il suo “Inside Pop: The Rock Revolution”, parlando di Good Day Sunshine dei Beatles, 1967]

Ma quindi si può dire qualcosa di oggettivo sui Beatles? Forse, ma mi chiedo quale possa essere il valore critico di una serie di parametri oggettivi, quindi di per sé non qualitativi. Si potrebbe dire, per esempio, che fanno parte di quel movimento di ripresa del rock melodico, che poi ha cavalcato l’esplosione della psichedelia (che in UK fu propedeutica per la scena progressive), il quale assieme a Move, Kinks, Animals, i primissimi Rolling Stones, Monkees e Beach Boys rappresentarono il meglio del pop melodico tra il 1963 e il 1969. Sicuramente gli intrecci più raffinati e complessi mettono Beach Boys, Beatles e Kinks in una sorta di podio virtuale in cui il “migliore” dipende esclusivamente dal gusto, ma questo podio avrebbe senso se la melodia fosse l’esclusivo metro di giudizio della qualità di una canzone. Sempre continuando con gli esempi, in confronto a Rolling Stones, Who e Small Faces, i Beatles hanno messo in maggiore evidenza le influenze canore degli anni cinquanta invece di quelle blues dal Mississippi, e quando i Beatles approcciarono l’idea del concept album calibrarono la forma anche per gli altri, sebbene gli ottimi esempi antecedenti. Eppure non sarebbe del tutto vero nemmeno questo, in fondo artisti come i Pretty Things, Frank Zappa e gli Who sperimentarono in modo molto diverso da quello dei Fab Four (e la band di Dick Taylor, Phil May e Wally Waller lo fecero persino negli studi dei Beatles!). Un particolare plauso va fatto agli Who (e alla infinita presunzione di Townsend), facendo seguire a “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” (giugno, 1967) un brillante “The Who Sell Out” (dicembre, 1967), folle caleidoscopio di jingle pubblicitari e singoli da classifica, un lavoro molto concettuale e di peculiare riflessione socio-politica, per poi replicare due anni dopo con “Tommy”, che mescolava echi wagneriani (ben diversi dal “muro di suono” spectoriano) al blues-rock. 

Si potrebbe dire, sempre secondo una prospettiva oggettiva, che in comune con i Kinks i Beatles avevano il fatto che erano più forti con i singoli che con gli album. So di dire qualcosa di molto controverso per i fan, però cercate di seguirmi: nel “White Album”, considerato da tanti appassionati ed esperti del settore come uno dei capolavori della band, ci sono pezzi di ingiustificabile bruttezza come Ob-La-Di, Ob-La-Da e Don’t Pass Me By, e io capisco che While My Guitar Gently Weep faccia piangere tutta la famiglia quando la strimpella Eric Clapton, ma sono canzoni che non hanno il peso di una Helter Skelter (e forse neanche di una brutta ballad di Barry Manilow) e che dunque inficiano in modo irreparabile sulla qualità complessiva di un’opera. In generale i veri capolavori dei Beatles sono le raccolte (per gli insulti, le minacce e le denunce tramite avvocato scrivete pure a: genericamentegiuseppe@gmail.com), e non è un caso se l’album più venduto della storia della band sia del 2000, ovvero “1”, una compilation di tutti i singoli che toccarono la prima posizione in UK e negli USA tra il ’62 e il ’70. Con questo non sto dicendo che gli album dei Beatles non siano pieni di canzoni valide e di successo, in particolare dopo il ’64, ovvero quando Lennon e McCartney presero le redini del progetto e le canzoni acquisirono anche maggior consapevolezza nelle liriche e si spinsero delle volte con coraggio nel panorama a loro contemporaneo, ma che come capitava spessissimo negli anni ’60, gli album erano zeppi di riempitivi. Il caso più eclatante forse è quello dei The Move, passati in poco tempo dal pop, alla psichedelia al prog riuscendo a mala pena ad azzeccare un primo album e poi un paio di canzoni al massimo per disco, pur restando ben aggrappati alle vette delle classifiche per un po’ di tempo.

Sarebbe interessante adesso fiondarsi nel riascolto della discografia beatlesiana, e c’è davvero il rischio che questo articolino insignificante diventi uno di quei orribili post-valanga alla Not o alla Noesy, ma per fortuna si è fatto tardi e ho fame. Aggiungo solo qualche mio sghiribizzo, ovvero che l’album più influente per la sua generazione rimane quello del Sergente, il più importante per la band probabilmente “Rubber Soul”, il più eclettico il Bianco, il più solido a distanza di anni “Abbey Road”, il più divertente il “Magical Mystery Tour”, gran parte delle cose uscite prima del ’64 sono piuttosto imbarazzanti e “Revolver” è uno degli album più sopravvalutati della storia della plastica, ma su ognuno di essi si è detto tanto, troppo, e della mia personale opinione probabilmente non gliene frega niente a nessuno. Un altro problema che però secondo me deriva da questo culto, prima adolescenziale e poi agiografico, è stato quello di elevare la band a questa sorta di monolite intoccabile e inafferrabile, come se i loro giri di chitarra fossero tutt’altra cosa da quelli di Hank Marvin, Link Wray o Pete Townsend, o la loro sezione ritmica più rivoluzionaria ed complessa di qualsiasi altra band, James Brown, Who e Soft Machine compresi (la stessa cosa accade in tutti i paesi, in Italia abbiamo l’esempio di Lucio Battisti). Avrebbero meritato la stessa attenzione dei Beatles i Kinks, per dire, che hanno fatto del songwriting di altissimo livello sfornando classici a non finire. Sarebbe bello leggere approfondimenti sui Beach Boys che non ci rompessero l’anima con “SMiLE” ma si avventurassero nella discografia tarda della band. Senza dubbio ci vorrebbero più analisi sugli Small Faces, magari accompagnate da una bella biografia fatta con i contro-così-detti e criticamente valida, e sarebbero assai graditi degli studi più tecnici anche sugli Who e sul rock strumentale di inizi anni ’60 prima del cambio di paradigma inglese, oppure qualche pubblicazione sul sottobosco fatto di Remains, Shadows, Troggs, Kim Fowley, Music Machine, Seeds, Godz e via dicendo – e con questo non sto assumendo che non esista niente di tutto questo, ma che è tutto ingiustamente sproporzionato nei confronti della letteratura beatlesiana. 

Non è la prima volta nella storia della musica che si assegna a dei musicisti troppa importanza per quel che hanno realmente espresso, sia in senso positivo che negativo. Platone era terrorizzato dall’avvento del modo lidio che secondo lui avrebbe portato al decadimento dei valori della sua generazione, un po’ come oggi tanti sostengono che la trap sia il fondo della bottiglia della musica pop derivativa dal novecento, una sorta di punto di non ritorno. Si pensa che la psichedelia nel rock sia nata per una band, massimo due, così il metal o il prog, ho già scritto di come se qualcuno dal balcone grida: «Grunge!» qualcun altro risponderà con: «Nirvana!», la semplificazione invece di venire in aiuto per orientarsi nel complesso panorama musicale diventa troppo spesso metro di giudizio definitivo attraverso l’abuso di classifiche, liste e similia. Figure ottocentesche come Beethoven hanno più agiografie che biografie, alimentando un mito che purtroppo oscura la sua produzione musicale preferendo l’aneddoto all’ascolto consapevole, forse è una dinamica inevitabile, che non può essere arginata né dalla critica né dai fruitori. 

Che i Beatles siano stati immensi o piccolissimi non è più un compito del critico da valutare, perché la loro influenza ha superato di gran lunga la qualità delle loro composizioni, rendendo questi quattro ragazzi scapestrati delle icone al di sopra delle aspettative di chiunque, il simbolo di una generazione, l’inizio di qualcosa che in realtà c’era già ma era stato troppo frettolosamente dimenticato. 

Conclusioni

La Qualità non serve per decorare soggetti e oggetti come i festoni di un albero di Natale. Dev’essere la loro fonte, la pigna da cui spunta l’albero.
[R.M.Pirsig, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, p. 283]

Siamo figli della percezione dei nostri genitori, e sembra che la critica non riesca a colmare questo gap. Probabilmente però la colpa è anche della critica stessa, la produzione di “storie” della musica rock è limitata, e gran parte delle uscite nazionali ed internazionali sono di bassa qualità complessiva, la maggior parte per esempio salta a piè pari gli anni ’50 partendo proprio dalla British Invasion come punto d’inizio ideale! In risposta a questa tendenza esistono diverse riviste o forum su internet che invece ribaltano la situazione, facendo passare gruppi come i Godz o i Troggs come molto più influenti di quanto fossero effettivamente stati, tacciando la musica inglese di essere al massimo una discreta digressione di quella americana, il che è un’assurdità. E anche in questo post coesistono diversi bias, perché non si è parlato della musica indiana degli anni ’60, dell’esplosione garage in Giappone, Nuova Zelanda e Australia, del beat italiano dei Corvi, della musica elettronica tedesca che tanto doveva a quella sperimentale americana dei gruppi di rock strumentale, delle influenze del Tropicalismo, ecc. ecc. Viviamo in tempi in cui la semplificazione non è più una scusa accettabile, la possibilità di raccogliere materiale è stata incredibilmente facilitata, e così anche l’occasione di studiare testi e saggi da ogni parte del mondo. La critica rock dovrebbe cominciare a lasciar stare gli epigoni di Lester Bangs, oppure l’approccio dialettico-marxista di Simon Reynolds, o l’analisi per compartimenti stagni (ovvero nazionali) alla Simon Frith, bisognerebbe prendere di petto questa Storia e sviscerarne tutti gli aspetti, compresi quelli apocrifi, come le pubblicità radiofoniche dei dischi, la storia dei formati di riproduzione, le questioni culturali sospese e quelle risolte, gli aspetti antropologici e i nuovi approcci neuroestetici. Lo diceva anche Goffredo Fofi in una recente intervista a Fanpage che non ha più senso di esistere il critico iper-specializzato, bisogna pretendere una critica più aperta alle contaminazioni. Più che chiederci se i Beatles sono stati la più grande rock band di tutti i tempi, bisognerebbe chiederci che senso ha una critica che si pone questo genere di domande.

43 risposte a “La più grande rock band di tutti i tempi”

  1. Wao, l’ultima frase è davvero figa, complimenti, quanto sei stato su a pensarci, un mese? Scherzo, è una riflessione più che adeguata. Il fenomeno Beatles mi interessava molto, almeno a livello teorico – nella pratica, sono solo una fra le dozzine di rock band che sono almeno “da conoscere”, e certamente non fra le prime posizioni – a dire il vero, ad esempio, non riesco a trovare motivi razionali per immaginarli più importanti dei Blue Öyster Cult. Dicevo, sui Beatles mi sono fatto un idea abbastanza stazionaria, ovvero che hanno fatto due album di tutto rispetto che sono Revolver (gira e rigira, è uno degli album più sperimentali del pop del periodo e poi è figo dai come fai a parlare di plastica) e Abbey Road (ok Martin ci ha messo sette zampini dentro forse, ma resta un convincente pop progressivo abbastanza creativo, e devo dire, tanto mi basta), non sopporto Sgt. Pepper e trovo Rubber Soul parecchio infantile (no no Girl non mi piace, perché dite che è un capolavoro?) e il White Album è nel complesso una betoniera di rifiuti tossici con dentro qualche – solo qualche – perla, come la loro mia canzone preferita di sempre che è While My Guitar… con Clapton alla chitarra però. Non parlerò delle loro canzoni che mi piacciono, credo comunque che il problema principale dei Beatles sia stata la quasi sempre pessima influenza che hanno avuto sui gruppi contemporanei e successivi. Un esempio? I King Crimson di Lark Tongues in Aspic, che quando si ispirano al jazz-rock d’avanguardia (che hanno contribuito a creare) ci deliziano con composizioni brillanti, quando si ispirano ai Beatles fanno Easy Money. Altro esempio? Pappalardi (si chiamava così?) che nella prima facciata (primo disco?) di Wheels of Fire cerca di fare ‘na roba alla Beatles, e ne viene fuori il lato più trascurabile; nella seconda facciata i Crema si sbrigliano e danno cose come la gargantuesca mefistofelica Spoonful. Quindi io non mi vanterei francamente dell’influenza enorme esercitata dai Beatles, vista la negatività dei suoi effetti. Restano ripeto un gruppo importante e da conoscere, evitiamo però di bagnare le sedie ok?

    Riguardo alle band sessantiane (parliamo di roba che scotta dai, scopro le mie carte) che ritengo senza dubbio superiori ai Beatles vi sono:
    – Kinks: a mio avviso hanno fatto tutto quello che hanno fatto i Beatles e meglio;
    – Byrds: il jingle jangle di McGuinn uccide, e le loro canzoni fanno sognare;
    – Family: gruppo prog fra i più cazzuti di sempre, bastano i primi due album a consacrarli, e Chapman è un idolo;
    – Who: la generazione che non è mia ma vorrei che lo fosse. E hanno fatto Tommy;
    – Band: songwriting eccellente e un cuore enorme, bruciato nel giro di due soli album certo, ma che album sono! ;
    – MC5: una meteora, ma di quelle che lasciano un bagliore accecante e indimenticabile, Kick Out the Jams è la Storia del rock;
    – Jefferson Airplane: fuori moda che! Creativi, potenti, competenti, forse grandi ingenui ma di certo grandi artisti;
    – Red Crayola: il lato oscuro della civiltà alle prese coi deliri galattici di Dio, questo è Parable of Arable Land;
    – Jimi Hendrix Experience: ti prego non dire che sono invecchiati male, il primo e il terzo album sono potenti e ambiziosi come pochi nel rock del tempo;
    – Incredible String Band: perché 50000 Spirits è molto bello, e Hangman’s è una meraviglia dietro l’altra: come si fa a non amarli?

    Altre band eccelse ma più in transizione con gli anni ‘70 (fuori concorso) sono: gli ultra-punk Stooges, i dadaisti orientati al jazz Soft Machine, gli immensi King Crimson, la Radice del rock americano ovvero i Creedence Clearwater Revival, aggiungerei infine gli esasperati/esasperanti Led Zeppelin (discontinui e cazzoni quanto si vuole, ma con tratti eccelsi) – (poi vabbé io stravedo per gli Amon Düül II, ma arrivano un po’ tardino con il grande Phallus Dei, e comunque il meglio lo daranno solo da lì a poco; ed escludo volutamente i Crazy Horse di Young, in quanto troppo poco “band”, per quanto Everybody Knows This Is Nowhere sia di gran lunga migliore di qualunque cosa i Beatles abbiano mai concepito; infine, il cuore mi spinge a menzionare gli eccezionali Flying Burrito Brothers, ma la mente mi dice che sono arrivati troppo troppo tardi e che oltre all’esordio non hanno mai fatto granché; infine-parte-due, menziono appena i Kaleidoscope, poiché nonostante Side Trips sia un album di tutto rispetto e A Beacon from Mars rimanga fra i risultati più geniali e completi della prima epoca d’oro della psichedelia, non me la sento di definirli davvero superiori alle Blatte – discorso analogo potrebbe essere fatto per gli inglesi Colosseum).

    Comunque, gli unici complessi rock in grado di giocarsi il titolo di massima-band-dei-60, per me, sono: i Grateful Dead (ultraterrena qualità d’improvvisazione di gruppo, un cuore grande come una casa, interessanti collegamenti con le avanguardie), le Mothers of Invention di Frank Zappa (impressionante o meglio irraggiungibile sequela di capolavori, da Freak Out a Weasels Ripped My Flesh, immensa influenza su molto rock che conta), i Pink Floyd (dalla fantasia straripante di Piper all’austerità classica di Ummagumma, gruppo semplicemente leggendario), la Magic Band di Captain Beefheart (la più grande scheggia impazzita del rock alternativo americano, un faro artistico per innumerevoli enormi musicisti rock successivi), i Doors (eccellenti qualità di songwriting, due album perfetti e potenti da far spavento, Jim Morrison alla voce, Ray Manzarek alle tastiere), i Velvet Underground (i peggiori bestemmiatori del rock mutuati dall’avanguardia mutuati da loro stessi che sono ciascuno fra le più intense personalità della storia del rock), e i Rolling Stones (coloro che hanno in pratica inventato la rock band moderna, coloro da cui discendono tutte le rock band che devono qualcosa al blues-rock, tutti eccezionali musicisti, qualità compositive proibitive).

    Insomma dopo tutti questi anni mi chiedo se chi considera i Blattes i migliori di sempre abbia davvero presente che cosa facevano tutti questi signori. Che idea di musica abbiano davvero, insomma, se è a senso unico o se riesce ad espandersi verso lidi non beatlesiani. La risposta, amico mio, sta ancora blowando nel vento.

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    1. Ti rispondo con grave ritardo, ormai prassi di questo blog da quasi 10 anni.

      Le analisi comparative sono interessanti ma complicate, parli del songwriting degli Stones ma furono McCartney e Lennon ad insegnargli come si sa faceva con I Wanna Be Your Man. Diciamo che gli elementi di analisi sono gravemente inficiati da molte cose che ho velatamente preso in considerazione nel post, ma continuano ad inficiare gravemente. Comunque più che una questione di “superiore” o “inferiore” ciò che rende ridicolo il culto dei Beatles è l’adombramento sulle altre band coeve altrettanto valide, e non parlo di mass media (che ovviamente analizzano i fenomeni pop, e i quattro hanno segnato più di un’epoca in tale ottica) ma di quella che si definisce critica rock.

      C’è una certa fatica a dividere l’analisi sociale da quella politica da quella musicale da quella antropologica (ecc.), ogni elemento inficia sulla valutazione musicale (che è quella che interessa al lettore) e rende tutto molto confuso. Per Reynolds gli Scritti Politti sono una delle migliori espressioni del post punk e non hanno fatto un album interamente decente in tutta la loro carriera, però gli piaceva Derrida per cui alla fine grandissimi cazzo.

      Inoltre si è andati dietro per decenni alle classifiche di ‘sta ceppa, utili mezzi nelle guerre tra major e i maggiori detentori di diritti musicali al mondo, altrimenti chi se ne frega di che è il disco più venduto o che è rimasto di più in cima alle classifiche. La critica non dovrebbe correre dietro questioni adolescenziali come «qual’è la migliore band di tutti i tempi?» se non con lo scopo di mettere in crisi le aspettative del lettore, ma non per rompergli le balle con qualche gruppo del cazzo che conosce solo il critico e sua sorella, ma per farlo ragionare.

      Mi è piaciuto moltissimo mettere come miglior disco di tutti i tempi “Metal Machine Music” proprio per lo schiaffo morale, se rock è mandare a ‘fanculo il mondo allora MMM è il monumento a quel ‘fanculo. È un disco che mi capita di riascoltare e rido, rido veramente tanto. Ma mettere MMM tra i capolavori per il gusto di farlo è provocazione fine a sé stessa, spiegare perché è una schifezza ma merita di essere capito (e forse amato, come comunque c’è chi ha fatto) è più complicato, ed implica scardinare diverse certezze e mettere a nudo la propria capacità di analisi di fronte al lettore.

      Insistere con una narrazione agiografica del rock, fatta di miti e leggende che non sono tali ma solo storie umane, spesso sull’orlo della tragedia, è un modo infantile di raccontare una forma d’arte complessa e sfaccettata.

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  2. Aaaaaarrrggghhhh. Da Scaruffi in poi è impossibile trovare un blog musicale senza che non solo si tenti di sparare a zero sui Beatles ma senza che si ci chieda anche come sia possibile che qualcuno li consideri i migliori. E giù con i clichè scaruffiani nel citare la superiorità delle suite,delle jam sessions, degli sperimentalismi senza avere un minimo di cognizione di causa della terminologia usata nei propri sermoni. Commentare tutte le inesattezze riportate nel post e nel primo commento richiederebbe una settimana ma alcune corbellerie è doveroso segnalarle. Innanzitutto negare che i Beatles abbiano avuto un’enorme influenza sul rock seguente ( non su tutto il rock ovviamente, parliamo di una musica estremamente varia e nessuno può averla influenzata tutta ) significa negare l’evidenza anche se non si tratta di un’influenza sempre positiva: per es. gli Yes hanno affermato di aver ideato le loro suite traendo ispirazione dal lato b di Abbey road ma le suite degli Yes mi sembrano tra le peggiori degli anni ’70. I King crimson non sono stati influenzati dai Beatles su Easy money ( almeno io non ci trovo motivi beatlesiani in quel banale brano ) ma su I talk to the wind , Epitaph , Cat food e soprattutto sull’idea di fare rock senza cadere negli stereotipi del rock; Fripp ha scelto di fare il musicista dopo aver ascoltato A day in the life e se non è un capolavoro d’avanguardia quello non so cosa sia un capolavoro d’avanguardia. I Cream furono influenzati dai Beatles nelle ( valide ) canzoni pop e sicuramente non per le Jam sessions dal vivo che però riascoltate oggi ,se si ha un minimo di orecchio, risultano semplici esercizi di stile come il 99% delle jam dell’epoca. Una delle principali inesattezze della scheda è quando si afferma che prima di Rubber soul i Beatles erano ascoltati solo da ragazzine isteriche ma quasi tutti i musicisti rock dell’epoca affermano il contrario : Jagger, Richards, Townsend , Crosby , Lemmy, Ozzy (e la lista potrebbe continuare fino a domani ) affermarono di essere rimasti folgorati dai primi brani dei Beatles e non cadiamo nella solita solfa “erano pubblicizzati per questo piacevano” dato che non sta in piedi, migliaia di complessi sono stati pubblicizzati anche più dei Beatles ( soprattutto da quando ci sono i videoclip )e solo quelli validi sono sopravvissuti al tempo. E per non apprezzare Please please me, I want to hold your o le tante ottime canzoni del loro terzo LP significa non avere idea dell’importanza della melodia nella musica. E chiunque ha un minimo di conoscenza dell’argomento sa che il 45 giri di I want to hold your hand folgorò Leonard Bernstein ( non proprio una ragazzina ) a tal punto che da fargli tirare in ballo Schubert ( ! ) dopo un solo ascolto , giudizio che confermò dopo l’ascolto dei 45 giri che vennero pubblicati a ruota. Poi sono d’accordo col definire banali i 2 brani tratti dal doppio bianco citati nel post ma non vedo come possano 2 brani ( su 30 ! ) compromettere il valore complessivo di un disco; nei dischi di Zappa ( uno dei pochi musicisti rock d’avanguardia dotati di talento )ci sono tanti brani banali sia tra le canzoni che tra le sperimentazioni d’avanguardia che spesso sfociano nella cacofonia esplicita. Chiudo l’intervento dicendo che conosco tutti i gruppi citati nel post e nel primo commento al post e che forse fare post lunghissimi per chiedersi come sia possibile che i Beatles ( o i led zeppelin o chiunque altro ) siano considerati i migliori nasconde insofferenza, intolleranza e , forse, qualche problema personale da sfogare in altre sedi , soprattutto se si criticano opinioni di ascoltatori con una preparazione musicale molto superiore alla vostra.

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    1. Se vuoi rispondere alla scheda di Scaruffi scrivi una mail a lui, non a me. Fra l’altro citi roba che non è mai nemmeno evocata nel post, come la “superiorità delle suite”, parte del metodo di Scaruffi di cui ho già ampiamente scritto e criticato (https://unavoltahosuonatoilsassofono.com/2021/04/06/la-questione-scaruffi-revisited/).

      Queste reazioni al fulmicotone mi lasciano davvero senza parole. Nel post si cita Bernstein, si mettono in questione i rapporti di forza di certa critica (furono i Beatles ad insegnare agli Stones a scrivere hit da classifica), c’è una contestualizzazione per ogni questione, e non mi pare sia presente alcuna demonizzazione a priori, a meno che tu non voglia citarmela. Quindi mi chiedo che cosa tu abbia letto.

      Ho scritto forse che gli album dei Beatles erano gli unici con dei riempitivi? Ho scritto che erano i più brutti? Ho scritto che erano i più banali? No, per cui non capisco davvero di cosa tu ti stia lamentando.

      Ci sono artisti che amano i Beatles altri che li odiano, come ho scritto la cosa risulta ininfluente su un giudizio critico, laddove lo stesso si può dire di praticamente qualsiasi fenomeno popolare degli ultimi 100 anni. Iggy Pop non sopporta i Led Zeppelin, e quindi? Quali conclusioni possiamo trarre dalla lista di chi ama chi e chi odia chi? I Queen sono stati il gruppo rock da stadio più di successo di tutti i tempi, e dunque? Quale aspetto critico aggiunge la popolarità? Me lo chiedo nel post, fra l’altro, e credo che la risposta più intellettualmente onesta sia che l’elemento sociale sia prevalente su quello musicale. Ha poco senso studiare l’impatto popolare dei Queen partendo dallo sparito, ma diventa sensato e criticamente rilevante quando se ne studiano gli aspetti sociali, iconografici, di moda e costume, cercando di comprendere quale racconto del quotidiano hanno proposto e perché ha così colpito l’immaginario collettivo. I dischi, che rimangono perlopiù orribili nel caso specifico, non esauriscono il significato del loro impatto.

      Sulla questione storica (in particolare sulla popolarità iniziale dei quattro sul pubblico femminile) ne parla esaustivamente un bellissimo saggio di John McMillian, fra l’altro fan sfegatato dei Beatles, ovvero “Beatles vs Stones” (in cui ricostruisce e demistifica la supposta contesa tra i due gruppi inglesi).

      Diversi argomenti che hai tirato in ballo sono molto interessanti, ma preferirei che prima leggessi il post e non i commenti ad esso, così si potrebbe anche discuterne con cognizione di causa.

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  3. Ma non ho visto nessuna demonizzazione e non mi lamento di nulla. Nella mia risposta ho segnalato le inesattezze presenti nel post e nel primo commento ed è facile capire dove ho risposto a te e dove al ( palesemente scaruffiano ) primo intervento. Comunque la tua citazione del giudizio di Iggy Pop sui Led zeppelin e le considerazioni che hai fatto sui giudizi di altri musicisti non avevano alcuna attinenza col mio intervento. La mia era una risposta al tuo commento ” prima di Rubber soul i Beatles erano ascoltati per il 99% da ragazzine” , come detto gran parte dei futuri protagonisti della scena rock non solo apprezzarono i primi dischi dei Beatles in modo spesso esagerato ( per fare un esempio Ozzy Osbourne nella sua biografia ha affermato che dopo aver ascoltato il secondo LP dei Beatles fu come se per la prima volta la sua vita avesse un senso ! ) ma intrapresero la carriera del musicista partendo proprio dai primi brani dei 4 di Liverpool ( uno dei tanti fu Pete Townsend degli Who ). Non intendevo appellarmi ad opinioni altri ed infatti non l’ho fatto, il pubblico dei Beatles agli esordi NON era composto solo da ragazzine ma anche da quasi tutti i protagonisti della scena rock del periodo, questo intendevo. E ribadisco che diversi brani giudicati imbarazzanti da tanti critici improvvisati tali su internet un certo Leonard Bernstein scomodò un certo Schubert che , per intenderci , nel campo specifico ( nella musica classica la canzone si chiama Lied ) è considerato all’unanimità il più grande di sempre. anche in questo caso non parliamo di una ragazzina. Un’ultima considerazione: tanti internauti sembrano non dormire la notte per ridimensionare i Beatles e ormai non conto più i post che ho letto sui vari blog indirizzati in quella direzione. Finchè si tratta solo di dare un’opinione personale la democrazia impone che bisogna rispettare ogni giudizio ma l’accanimento con cui i suddetti critici si scagliano contro quel gruppo, gli inevitabili riferimenti alla scheda di Scaruffi ( che inevitabilmente ha condizionato tanti giovani internauti vista la mancanza di altri blog altrettanto in vista su internet che possano segnalare le tante falsità riportate dal Piero nazionale ) e soprattutto i commenti sarcastici verso chi apprezza quel gruppo sfocia persino nell’offesa becera. L’epilogo del primo commento chiede quale possa essere la preparazione musicale di chi considera i Beatles il miglior gruppo ! Al di là dell’oziosità di questo tipo di classifiche tanti appassionati delle canzoni dei Beatles hanno una preparazione musicale anni luce avanti rispetto ai soliti rockettari medi che non vanno oltre il rock. Certo, molti di loro parlano di classica e jazz ma palesemente non ne sanno niente.

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    1. Capisco il tuo astio, ma è mal riposto, almeno in questo blog. La mia non è una questione di ridimensionamento ma di contestualizzazione, l’avvento della “beatlesmania” non è certo il primo fenomeno di agiografia nella storia della musica. È evidente una difformità di analisi e di discussioni sulla base dell’influenza popolare e mediatica nei confronti di certi artisti a discapito di altri, quello dei Beatles è semplicemente uno dei più eclatanti.

      Le testimonianze di Osborne e Townsend (così come potremmo aggiungere quelle di Fripp e molti altri) non sono in contraddizione col dato storico. Non solo McMillian ma tutti gli altri storici beatlesiani contemporanei non hanno alcun problema ad ammettere che la fanbase dei quattro fosse, almeno nei primi anni del loro successo, perlopiù femminile. Così fu anche per i Rolling Stones e tantissimi altri complessi della seconda venuta del rock in Europa. Ciò non significa che i maschietti quei dischi non li ascoltassero lo stesso nella loro cameretta, significa solo che il pubblico di riferimento era quello più attratto dai complessi vocali, mentre il rock di riferimento dei giovani a cavallo tra ’50 e ’60 era quello strumentale. Tutto qui, niente di nuovo sotto il sole.

      Sui brani considerati imbarazzanti dei Beatles ci sono non solo critici ma anche musicologi che si mettono le mani nei capelli per Ob-La-Di, Ob-La-Da o Yellow Submarine. Scaruffi non è di certo stato il primo a dirlo, nel post cito solo alcuni esempi, ma a tutt’oggi moltissimi esperti ritengono che la carriera dei Beatles sia stata puntellata di pessime canzoni, e ripeto: la cosa non dovrebbe sorprendere nessuno, dato che sfido chiunque a trovare dischi inglesi dello stesso periodo con la stessa popolarità che non fossero pieni di riempitivi inutili e dimenticabili. Negli anni ’60 erano in tanti ad odiare i Beatles, soprattutto chi era cresciuto col vecchio rock (secondo John Waters i Beatles l’avevano proprio ucciso il rock!), ma per i giovani furono una ventata di aria fresca in un mare di Frank Sinatra.

      È impossibile non trovare un artista pop che non citi Michael Jackson come punto di riferimento, autore fra l’altro che è stato tradotto nella musica colta così come nel jazz e nell’elettronica di avanguardia, ma non si può comunque dire che non per questo l’apporto di altri artisti è stato altrettanto rilevante da un punto di vista musicale, sebbene siano stati meno popolari? La popolarità è un indice sociale notevole, spiega moltissimo della nostra società, possiamo trarre diverse nozioni da chi le comunità scelgono essere i maggiori rappresentanti delle arti, ma non necessariamente quelle qualità influiscono sul contenuto in sé. Avengers non è il massimo raggiungimento del cinema, ma far finta che non esista, o denigrarlo senza motivi che non siano ideologici, non è comunque un buon servizio, bisogna trovare una quadra, la critica è un lavoro da equilibrista sul filo del presente/futuro.

      Sulla questione che sollevi degli “internauti” non mi esprimo, internet fa tanto rumore per nulla, e a volte si fatica a capire dove cominci la polemica e dove cominci il nulla.

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  4. Mi permetto di intervenire, visto che mi pare di capire l’utente Nagal si riferisca spesso al mio primo intervento.

    Se il mio commento Nagal ti ha fatto sentire infastidito o offeso, mi dispiace molto. Credimi, non era proprio mia intenzione.
    Io con Scaruffi ho un legame direi freudiano, in quanto quando sei/sette anni fa iniziai ad appassionarmi alla musica rock (a suon di Atom Heart Mother dei Floyd e a Foxtrot dei Genesis – oh, quanti ricordi… ai tempi credevo fosse la migliore musica mai esistita: col tempo e gli ascolti ho imparato a ridimensionare la caratura di quei dischi, anche se qualche brividone anche oggi riescono a darmelo; credo sia capitato a tutti noi appassionati) e i Beatles erano proprio uno di quei giganti intoccabili che proprio non riuscivo a farmi piacere, mai: e per il me quindicenne trovare finalmente un critico a cui loro piacessero poco, e spiegando molto in dettaglio il perché, fu per me una rivelazione. Certo, da qualche annetto ho in realtà imparato a considerare di tutto rispetto due album come Revolver e Abbey Road, per una serie di ragioni estetico-compositive. Debbo però confessare che nello stesso arco di tempo ho maturato in maniera ben maggiore un rispetto per i lavori di tutte quelle altre band che nel commento ho citato (un po’ a cascata e in maniera poco seria, hai ragione: d’altronde non intendevo certo scrivere un saggio critico adeguatamente dettagliato), e anche questo per tutta una serie di considerazioni critiche. Poi si può discutere su quanto in campo artistico mettere A sopra a B sia per molti appassionati in effetti una cosa deplorevole, ma farei notare come fenomeni analoghi al mio caso (un appassionato che esprime preferenze di certe band rispetto a certi nomi strafamosi) avvengono anche spinti dall’eccessiva, direi brutale, altissima considerazione che i fenomeni cartacei/internauti/televisivi più celebri attribuiscono ai gruppi più famosi a discapito degli altri (spesso proprio in termini di classifiche, si vedano oscenità tipo https://www.rollingstone.com/music/music-lists/best-albums-of-all-time-1062063/marvin-gaye-whats-going-on-4-1063232/ oppure https://digitaldreamdoor.com/pages/best_albumsddd.html ). E’ una forma di reazione spontanea, insomma, ma questo penso che già lo immaginavi.

    Bernstein ha accostato Franz Schubert, musicista classico a cui sono molto legato, certamente più a causa dei suoi lavori per archi, le sinfonie e le piano sonate che per i lieder, un disgraziato che con il suo talento avrebbe meritato di nuotare nell’oro, ma che ha sempre vissuto di stenti per poi morire giovane e praticamente senza un soldo, a quattro signorotti credo già milionari nel secondo anno di uscite discografiche a suon di campagne pubblicitarie mostruose, incessanti e capillari; la cosa un po’ mi ferisce. Per Bernstein ho massimo rispetto come direttore d’orchestra, ma infinitamente meno come compositore e ancora meno come critico di musica rock o jazz. Mi piacerebbe conoscere la sua opinione su cose come Anthem of the Sun, o chessò il Ghosts di Ayler (entrambi dischi che ammiro enormemente, per inciso), ma raramente il mondo classico/accademico si esprime su lavori del genere. Forse è giusto così, e forse no.

    Va detto poi che l’esperienza personale mi ha più volte confermato che proprio le persone che ritengono dei gruppi melodici leggeri come fra i più grandi di sempre sono i primi a provare fastidio quando si tratta di esplorare altre forme di espressione musicale. Non sarà certo il tuo caso immagino, magari tu oltre ai Beatles provi grande piacere a crogiolarti sulle note di “Scenes from the Second Storey” o “Dancing to Restore an Eclipsed Moon”, e apprezzi moltissimo il Dialogue di Hutcherson o il Black Fire di Hill, e via dicendo scorrazzando in un universo musicale sconfinato. Ma ti assicuro che per molti non è così.

    Comunque non era mia intenzione offendere nessuno, solo di esaltare gruppi che mi piacciono molto. Se le mie parole sono state fraintese, chiedo scusa.

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  5. Chiarisco alcuni punti per chiudere la discussione. Che la maggior parte del loro pubblico fosse composto da ragazzine nessuno l’ha mai messo in dubbio , neanche gli stessi Beatles che smisero di fare concerti non per il motivo assurdo indicato da Scaruffi ma per prendere le distanze da quel tipo di pubblico considerato che il suddetto Bernstein li stava inserendo in quel periodo in tutti i programmi didattici sulla musica classica ed essere identificati con quel tipo di ascoltatore era umiliante. Semplicemente negare che c’erano tanti ragazzi ( tra i quali quasi tutti i futuri protagonisti del rock anni ’60 e ’70 ) che li ascoltavano significa non conosce la realtà dei fatti. Poi non mi risulta che Michael Jackson abbia avuto grande influenza sulla musica moderna ( raramente ho letto interviste in cui qualche musicista moderno lo includa tra le sue preferenze ) e il tuo sottolineare che i Beatles hanno fatto brutte canzoni è tempo perso dato che nel repertorio di Mozart, Beethoven o Chopin ci sono tante composizioni mediocri che oggi non vengono più eseguite e sono liquidate dalla critica senza appello, quindi mi sembra improbabile che un complesso rock o jazz o di qualunque altro genere possa aver fatto solo brani validi. Nel repertorio di Zappa o degli Stones c’è tanta spazzatura e nella presunta avanguardia ( Progressive,elettronica,suites,fusion,free jazz,minimalismo etc.) c’è quasi solo spazzatura. Chiudo dicendo all’utente del primo intervento a cui erano rivolte la maggior parte delle mie parole che la lista di quelli che secondo lui sono i gruppi che dovrebbero contendersi il titolo di maggior gruppo degli anni ’60 coincide al 100% con i gruppi preferiti da Scaruffi per quel periodo, non uno di più non uno di meno, anche i brevi commenti sulla carriera di quei gruppi coincide totalmente con l’opinione che Scaruffi ha su quei nomi. Dato che è incapace di pensare con il suo cervello evitasse di fare commenti sarcastici sulla preparazione musicale di chi preferisce i Beatles ad altri gruppi.

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    1. Il fatto che tu non conosca l’influenza di Jackson sulla cultura musicale (e non solo) moderna dimostra una cosa: viviamo tutti in una settorialità molto chiusa di cosa sia o non sia «buona musica». Senza dover citare che soltanto per i video di Jackson si sono scomodati artisti assoluti come Spike Lee, John Landis e Martin Scorsese, che lo adoravano, e che ancora oggi la sua immagine e la sua iconografia siano presenti nella moda contemporanea, e senza contare tutta la discussione politica attorno a lui dopo l’uscita di “Off the Wall” del ’79 (perfino Obama lo ha citato più volte come vero pioniere della rappresentanza di colore nella cultura pop mondiale), la sua eredità musicale è internazionale e profondissima, restando tutt’oggi una fondamentale influenza non solo in occidente ma nella scena sudafricana, sudamericana, coreana e giapponese. Così come c’è un prima e dopo Beatles per la scena pop mondiale, c’è anche (se non di più) un prima e dopo Michael Jackson. Ancora oggi musicisti come Lenny Kravitz, Lady Gaga, Justin Timberlake, Kanye West, Justice, Jamiroquai, Beyoncé e perfino i complessi di moda sudcoreani, citano tutti Michael Jackson come fonte d’ispirazione principale. Non è il mio pane quotidiano questo settore musicale, ma far finta che non esista, considerando che oltretutto stiamo parlando degli artisti più amati e seguiti degli ultimi anni, sarebbe quantomeno miope per chi cerca di fare critica.

      Il punto qui è che la produzione dei Beatles, messa in prospettiva, non sembra così superiore a quella di altri complessi coevi, ma ciò che ha ingigantito la loro percezione è strettamente legato al ruolo che hanno avuto nella costruzione dell’immaginario collettivo degli anni ’60. La stessa cosa vale per Jackson come vale oggi per Kanye West. Ciò che cerco di evidenziare è come elementi di critica spesso si confondano con elementi di costume e società, mescolando livelli che sono sì entrambi validi ed interessanti, ma non sovrapponibili valorialmente. Grazie per i commenti e per la discussione pacata, non è roba da tutti i giorni.

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  6. Chiarisco alcuni punti lasciati in sospeso. Quei registi apprezzeranno anche M.Jackson ( di cui non sono un fan ma non disprezzo affatto ) ma i loro gusti musicali sono altri ; Scorsese ha diretto un video di Jacko su richiesta del musicista ma ha fatto documentari sui Rolling stones,su George Harrison e sul blues, queste sono le sue preferenze , il discorso di Obama era di natura razziale e non musicale. E poi i musicisti che hai elencato non mi sembrano la crema della musica moderna dagli anni 80 in poi. L’unico di cui ho letto interviste dei nomi che hai elencato è Kravitz e alla domanda “quali sono le tue influenze ?” ha risposto Beatles,Hendrix,Led zeppelin e Who. Il buon Michael non l’ha nominato. L’influenza dei Beatles si è proiettata su migliaia di musicisti per loro stessa ammissione , persino nel campo del Krautrock. Il leader dei Can ha affermato che ha fondato il gruppo dopo essere stato fulminato dall’ascolto di I am the walrus! E credo che solo se si è prevenuti o privi di ogni preparazione musicale si può contestare la validità di quel capolavoro. Se preferisci altri gruppi è legittimo ma tanti che vedono i Beatles come il gruppo preferito ( il più grande in assoluto è impossibile da stabilire con criteri oggettivi , si tratta di preferenze ) non sono influenzati da fattori sociali o di costume ma solo dalla musica, soprattutto se si parla di gente preparata anche al di fuori del rock .Personalmente conosco abbastanza bene il rock dalle origini,le varie forme da cui il rock è nato ( blues, R&B,folk,country etc),il jazz dagli anni ’20 ai primi 70 e soprattutto la musica classica che è di gran lunga la musica che ascolto e conosco di più e se devo scegliere quale nome preferisco della musica del xx secolo indicherei un ballottaggio tra i Beatles e Duke Ellington con , ovviamente, tanti altri nomi che apprezzo più o meno allo stesso modo. E tra le tante canzoni dei Beatles che non mi piacciono non includerei Yellow submarine. Poi devo confessarti che la saga cinematografica degli Avengers non mi è dispiaciuta affatto ( in particolare il penultimo capitolo Infinity war che ho visto 4 volte pur avendo quasi 50 anni !) e se l’ultimo capitolo non mi avesse in parte deluso l’avrei considerata uno dei capolavori del cinema moderno.

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    1. Guarda che per Scorsese non c’è differenza d’importanza tra Stones, Beatles e Jackson, e te lo dice uno scorsesiano di ferro. Se tu avessi letto con attenzione quello che ti avevo scritto avresti notato come stessi procedendo per categorie, sottolineandone una ad una, specificando come oltre alla musica l’influenza di Jackson sia sopratutto nella cultura popolare, così come nel caso di Beatles e tanti altri fenomeni non dissimili. Comunque anche su Kravitz ti basta googlare, io ne ho diverse di sue interviste cartacee, ma sono sicuro al 100% si trovi anche online la sua ammirazione per Jackson così come per altri artisti, così come se cerchi roba tipo “famous people who hate The Beatles” sono certo verrà fuori l’inferno (ma me lo risparmio!). Non esistono fenomeni culturali sui quali c’è assoluta convergenza di opinioni, sopratutto quando raggiungono un certa popolarità.

      Dei Beatles come influenza li citano quasi tutti i musicisti che sono cresciuti nel pieno dell’esplosione commerciale della band, non solo i tedeschi, ma anche australiani e giapponesi. Ti ripeto che il punto del post non è contestare I am the warlus o qualunque altra canzone della band, ma mettere in prospettiva l’idea che non sia qualcosa di irripetibile nella storia della musica, sempre del ’67 ci sono inni generazionali come For what it’s worth e Somebody to love, oppure pezzi come Brown eyed girl, I can see for miles, Sister Ray, End, Electricity, Interstellar Overdrive e tanta altra roba che tutto mi pare tranne che inferiore, sia come composizione sia nell’influenza per la musica che verrà dopo. Ma di tutti questi interpreti i Beatles sono stati i più famosi, i più presenti in radio e TV, e quindi spesso il primo pezzo di pane rock per moltissimi adolescenti poi futuri rocker (e anche critici). L’idea che un giovane, anche se musicista in erba, venga influenzato solo dalla qualità musicale significa negare dinamiche che sono vecchie come il mondo. Per me da ragazzo non esisteva niente che fosse meglio di Jethro Tull, Beatles, Pink Floyd, Led Zeppelin e Deep Purple, ma non significa niente in termini critici ma solo di quanto queste band siano radicate nel concetto stesso di musica di consumo.

      La questione che pongo non è di gusti. Anch’io adoro le saghe Marvel, ci sono cresciuto con quei fumetti, Guardians of the Galaxy lo avrò visto già una ventina di volte ormai, ma se devo ragionare su termini di natura critica non posso basarmi esclusivamente sul piacere personale. Ciò non significa necessariamente spregiare un prodotto popolare (elemento tipico di moltissima critica, come già ho scritto nel post), ma ampliare lo sguardo per comprendere quante più grammatiche il cinema ha espresso nella sua storia, esaminando i suoi elementi estetici a prescindere dall’impatto culturale di ogni singola pellicola. 2001 Odissea nello spazio e Titanic hanno avuto un enorme influenza su tutto ciò che è venuto dopo, ma sono sono eguali qualitativamente. Buona parte della musica per film deve tutto a Mahler, ma più che Gustav i giovani compositori citano tra le proprie influenze John Williams, cosa facciamo? Li picchiamo con il 33 giri della quarta diretta da Szell?

      Ripeto: non è una questione di ridimensionamento, ma di contestualizzazione.

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  7. Mi permetto di intervenire, visto che mi pare di capire l’utente Nagal si riferisca spesso al mio primo intervento.

    Se il mio commento Nagal ti ha fatto sentire infastidito o offeso, mi dispiace molto. Credimi, non era proprio mia intenzione.
    Io con Scaruffi ho un legame direi freudiano, in quanto quando sei/sette anni fa iniziai ad appassionarmi alla musica rock (a suon di Atom Heart Mother dei Floyd e a Foxtrot dei Genesis – oh, quanti ricordi… ai tempi credevo fosse la migliore musica mai esistita: col tempo e gli ascolti ho imparato a ridimensionare la caratura di quei dischi, anche se qualche brividone anche oggi riescono a darmelo; credo sia capitato a tutti noi appassionati) e i Beatles erano proprio uno di quei giganti intoccabili che proprio non riuscivo a farmi piacere, mai: e per il me quindicenne trovare finalmente un critico a cui loro piacessero poco, e spiegando molto in dettaglio il perché, fu per me una rivelazione. Certo, da qualche annetto ho in realtà imparato a considerare di tutto rispetto due album come Revolver e Abbey Road, per una serie di ragioni estetico-compositive. Debbo però confessare che nello stesso arco di tempo ho maturato in maniera ben maggiore un rispetto per i lavori di tutte quelle altre band che nel commento ho citato (un po’ a cascata e in maniera poco seria, hai ragione: d’altronde non intendevo certo scrivere un saggio critico adeguatamente dettagliato), e anche questo per tutta una serie di considerazioni critiche. Poi si può discutere su quanto in campo artistico mettere A sopra a B sia per molti appassionati in effetti una cosa deplorevole, ma farei notare come fenomeni analoghi al mio caso (un appassionato che esprime preferenze di certe band rispetto a certi nomi strafamosi) avvengono anche spinti dall’eccessiva, direi brutale, altissima considerazione che i fenomeni cartacei/internauti/televisivi più celebri attribuiscono ai gruppi più famosi a discapito degli altri (spesso proprio in termini di classifiche, si vedano oscenità tipo https://www.rollingstone.com/music/music-lists/best-albums-of-all-time-1062063/marvin-gaye-whats-going-on-4-1063232/ oppure https://digitaldreamdoor.com/pages/best_albumsddd.html ). E’ una forma di reazione spontanea, insomma, ma questo penso che già lo immaginavi.

    Bernstein ha accostato Franz Schubert, musicista classico a cui sono molto legato, certamente più a causa dei suoi lavori per archi e le sinfonie e le piano sonate che per i lieder di tre minuti, un disgraziato che con il suo talento avrebbe meritato di nuotare nell’oro, ma che ha sempre vissuto di stenti per poi morire giovane e praticamente senza un soldo, a quattro signorotti credo già milionari nel secondo anno di uscite discografiche a suon di campagne pubblicitarie mostruose, incessanti e capillari; la cosa un po’ mi ferisce. Per Bernstein ho massimo rispetto come direttore d’orchestra, ma infinitamente meno come compositore e ancora meno come critico di musica rock o jazz. Mi piacerebbe conoscere la sua opinione su cose come Anthem of the Sun, o chessò il Ghosts di Ayler (entrambi dischi che ammiro enormemente, per inciso), ma raramente il mondo classico/accademico si esprime su lavori del genere. Forse è giusto così, e forse no.
    Infine, va detto che l’esperienza personale mi ha più volte confermato che proprio le persone che ritengono dei gruppi melodici leggeri come fra i più grandi di sempre sono i primi a provare fastidio quando si tratta di esplorare altre forme di espressione musicale. Non sarà certo il tuo caso, magari tu oltre ai Beatles provi grande piacere a crogiolarti sulle note di “Scenes from the Second Storey” o “Dancing to Restore an Eclipsed Moon”, e apprezzi moltissimo il Dialogue di Hutcherson o il Black Fire di Hill, e via dicendo scorrazzando in un universo musicale sconfinato. Ma ti assicuro che per molti non è così. Come molti che amano la saga degli Avengers non hanno bene idea di cosa sia “Orizzonti di gloria”, o “Il nastro bianco”, o la trilogia dei colori di Kieslowski o quella della vendetta di Park. E questo, dal mio punto di vista, è un gran peccato.

    Comunque non era mia intenzione offendere nessuno, ma solo esaltare gruppi che preferisco. Se le mie parole sono state fraintese, chiedo scusa.

    Un appunto finale: Scaruffi parla benissimo, per dire, anche degli Animals, dei Buffalo Springfield, dei Quicksilver, dei Fugs, dei Deviants, della Bonzo Dog Band e dei Holy Modal Rounders, tutti gruppi sessantiani che conosco e rispetto ma che non mi sento di considerare superiori ai Beatles (sempre per una serie di ragioni, che sempre non mi metto a spiegare). E’ quindi un po’ avventato sostenere che ho copiato perfettamente il suo elenco di favoriti.

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    1. Purtroppo c’è sempre un brutto clima di trincea su internet in merito a qualsiasi argomento. Da amante di tante espressioni artistiche, e anche da critico in quelle che ho studiato metodicamente, la mia più grande paura è sempre stata quella di prendere le cose troppo seriamente. Ci si dimentica con facilità di quanto questi argomenti che ci appassionano e ci trascinano come nient’altro siano anche straordinariamente effimeri. Io adoro discutere, dibattere: amo il lavoro di redazione perché spesso ti trovi in disaccordo con persone che stimi inverosimilmente ed impari ad ascoltare e criticare senza perdere d’occhio la stima reciproca, il rispetto per le idee – anche quelle controverse.

      Sul web alla fine siamo sempre a mettere le mani avanti per evitare di essere fraintesi, è difficile riuscire a comprendere i toni, le sfumature, il sarcasmo, tendiamo a reagire sempre come se fossimo stati punti da un’ape invece che da una comunissima opinione.

      Questo per dire che ho apprezzato molto il tono di Marco così come quello di Nagai (come non potrei, Violence Jack è stato uno dei manga preferiti di sempre!) , è giusto non dover per forza trovare una quadra, non dover essere per forza d’accordo, ma sempre ponendo al centro gli argomenti e senza prendersi troppo sul serio.

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  8. Rispondo ad uno per volta. X genericamentegiuseppe : ci siamo un pò incartati su Michael Jackson dato che i collegamenti con il fenomeno Beatles sono circoscritti alla popolarità e che il buon Jacko ha avuto molti meno consensi dei liverpooliani. Indubbiamente se raggiungi ricchezza e popolarità tanti ti odiano per riflesso soprattutto se lavorano nel sottosuolo. Per es. tantissimi compositori d’avanguardia dei primi del ‘900 disprezzavano Beethoven e Verdi. Tra i brani che hai citato del ’67 permettimi di dire che non ci sono capolavori paragonabili a quel brano dei Beatles, in quell’anno ce ne sono stati ( direi soprattutto Third from the sun di Hendrix e Astronomy domine dei Pink floyd ) ma gli inni che hai citato dei Buffalo Springfield e Jefferson airplane mi sembrano buone canzoni e nient’altro mentre i brani d’avanguardia The end e Sister ray mi sembrano elementari temi ripetuti per molti ( troppi ) minuti con piccole variazioni . I 2 gruppi hanno fatto di meglio quando hanno dato una struttura ai loro brani. Premetto che adoro i Doors e mi piacciono molto anche i Velvet anche se molto meno di un tempo. Sister ray una quindicina di anni fa era tra le mie preferite probabilmente perchè ero condizionato dalla particolarità del brano ma riascoltato pochi anni dopo con un pò più di distacco mi resi conto di quanto avessi sopravvalutato la composizione che sostanzialmente è formata da un elementare tema ripetuto per 17 minuti con significative variazioni che la rendono comunque ascoltabile. Riguardo il giudizio che hai dato sui film Marvel hai detto che non puoi basarti solo sul piacere personale ma non riesco a capire quale altro valido criterio ci possa stare nel giudicare un film, un disco, un libro o un fumetto. Criteri oggettivi non esistono in nessun campo ,conta solo avere un minimo di preparazione sull’argomento e non basarsi mai su opinioni altrui. L’unico modo per dare un’opinione su un qualunque argomento che sia personale è non basarsi mai su un’unica fonte ma considerare tante diverse campane per farsi una propria idea personale. Per capire qualcosa dei settori che ascolto da una vita ( Classica,jazz,rock,musica leggera in generale ) ho letto centinaia di riviste,enciclopedie,saggi,interviste per farmi una mia opinione inevitabilmente diversa da tutte quelle che ho letto. Rileggo spesso le innumerevoli fonti che furono fondamentali per i miei ascolti e non ne condivido nessuna se non in parte dissociandomi dalla maggior parte dei giudizi, alcuni dei quali mi fanno persino sorridere oggi dopo avermi condizionato all’inizio.

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    1. Hai sollevato un problema bello tosto per chi fa critica, ovvero la qualità del giudizio.

      Quando te giudichi i brani del ’67 che ho citato lo fai secondo precise direttive, che sono frutto dello studio e della passione, ma che restano parziali laddove si fondano sul gusto (non ti sto contestando, mi serve per argomentare). Giustamente fai notare che gusto e giudizio sono inscindibili e che l’oggettività è più un mito che altro, e hai ragione! Però la questione è più complicata di così, altrimenti non avremmo i critici né saremmo capaci di discernere ciò che è importante tramandare da ciò che è superfluo.

      I criteri oggettivi esistono, in tutti i campi, ma questi non sono di per sé esaustivi per un giudizio di valore. Tipo: la maggior parte delle canzoni dei Beatles sono chorus-bridge. Money dei Pink Floyd è la prima hit in 7/4. Tutti gli elementi tecnici, un cambio di tempo, di riff, una coloritura, un ostinato, un delay, l’uso dell’armonia, la presenza di melodie o di scale cromatiche, sono tutti elementi oggettivi, ma che senza un contesto risultano semplicemente descrittivi. Ma questi criteri oggettivi servono innanzi tutto per avere dei parametri comparativi. La classificazione in generi e sotto-generi, le scene musicali, l’impatto di certa tecnologia di registrazione, produzione o di distorsione del suono, il supporto fisico, il supporto digitale, la distribuzione nazionale o globale, sono tutti elementi che il critico usa per evitare di relativizzare tutto al mero gusto. Non avresti “L’età di Bach e di Händel” di Alberto Basso oppure “Dead Elvis: A Chronicle of a Cultural Obsession” di Greil Marcus senza questi strumenti, non ci sarebbe proprio nessuna letteratura in merito alla musica come a nessun’altra forma d’espressione umana.

      Ma se il dato oggettivo è solo un parametro di comparazione significa anche che è solo metà del lavoro, perché manca il parametro qualitativo. Come diceva uno che la sapeva lunga sull’argomento: «La critica è innanzi tutto giudizio» e senza di esso non c’è critica ma solo opinione.

      L’altro lato della medaglia è l’estetica, cruccio filosofico che ha donato diversi mal di testa a tutti i grandi pensatori umani. L’approccio estetico, al contrario di quello oggettivo, si basa su modelli di pensiero, e questo è ciò che rende il giudizio non univoco ma eterogeneo. Non vuol dire però che ogni critico la pensi da sé, ma che esistono scuole di pensiero, modelli estetici, ideologici, politici, ai quali si fa riferimento per giudicare questo o quello. Ci sono critici musicali legati ad Adorno, altri legati allo strutturalismo, chi alla dialettica marxista chi al pragmatismo di William James, chi all’approccio riduzionista chi invece a quello xenofemminista, ecc. ecc. ecc. Ciò che distingue però un critico da un’opinionista è che il secondo, per quanto appassionato, dedica ore della sua giornata a fare e pensare ad altro che non sia l’arte. Magari è un ingegnere, magari è un avvocato, magari è un manager, ma non è un critico, il quale passa ogni momento della sua giornata lavorativa a studiare, capire, sviscerare e comparare. Un appassionato di letteratura comprerà un romanzo di Walter Siti, ma magari sarà meno interessato a leggersi “Contro l’impegno”, e anche se lo farà la sua sarà curiosità, e non uno sforzo estetico, politico, sociale, ecc.

      Fare critica non è semplicemente leggere diversi autori, «ascoltare diverse campane», ma è formulare idee sul presente, provare chiavi di lettura, rischiare di dire straordinarie baggianate per esprimere una complessità che non sia mai fine a se stessa, ma che fornisca strumenti di discussione e disinnesco delle retoriche accademiche.

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  9. Xmarco : accetto le scuse anche se non mi ero offeso ma solo un pò irritato perchè non è la prima volta che utenti di matrice scaruffiana sparano a zero non solo sui Beatles ( e ci può stare dato che non sono un nerd che sclera se gli criticano i beniamini ) ma anche su chi li ascolta ricorrendo ai stereotipi che non stanno in piedi. Ritengo di avere una preparazione musicale molto vasta nella musica classica , nel jazz e nel rock e se i Beatles sono forse ( ripeto :forse ) il complesso che preferisco è perchè ritengo la melodia l’elemento più importante della storia della musica ( in particolare se parliamo di musica classica ) e loro l’hanno padroneggiata come forse nessun altro nel secolo scorso. Sono stati anche tra i pochi a fare capolavori nel campo dell’avanguardia ,soprattutto con A day in the life, Tomorrow never Knows e I Am the walrus. Tante composizioni spacciate da Scaruffi come avanguardia sono prive di una struttura musicale e sono spesso di natura minimalista, o peggio ancora, casuale anche se ovviamente occorre avere una preparazione musicale che vada oltre il rock per capirlo altrimenti è facile farsi fregare dai bluff. Riguardo la tua antipatia per gli scaraffaggioni se rapportata la loro ricchezza alla miseria di Schubert ti faccio notare , oltre al criterio di giudizio quanto meno non musicale, che buon Franz adorava ( anche troppo ) Beethoven e sapeva che il suo idolo navigava nella ricchezza , grazie ai nobili che gli passavano soldi e gli permisero di non dover essere il compositore di corte mentre lui viveva in miseria ma se apprezzava la musica di Ludovico come poteva cambiare opinione solo per invidia? Riguardo Bernstein ,a parte il fatto che per criticarlo come compositore ci vuole una preparazione che richiede anni di studio su enciclopedie per raggiungere un minimo di competenza, criticarlo come critico jazz e rock è paradossale se si pensa che fu il primo critico di musica classica a considerare il Jazz una forma d’arte e non una semplice musica ballabile come tutti i suoi colleghi e soprattutto fu il primo critico rock in assoluto : quando esplose il rock n roll negli anni ’50 tutti i critici di ogni estrazione lo liquidarono come spazzatura sonora mentre lui addirittura lo esaltava come musica rivoluzionaria con 10 anni di anticipo sulla nascita di una critica rock ( prima del ’66/’67 parlare di critica rock era una barzelletta vista la fama di cui “godeva” il rock ). Non so cosa pensasse dei 2 dischi che hai citato ma dubito che potesse anche solo scambiare per musica quella roba ! Anthem of the sun dei Dead è palesemente una serie di suoni improvvisati sotto l’effetto di sostanze stupefacenti senza punti di riferimento mentre Albert Ayler mi sembra rasentare l’oscenità sonora in gran parte della sua produzione e non sono un purista del Jazz dato che adoro Ornette Coleman. Riguardo la tua accusa di oscenità sulle liste che mi hai proposto cosa ci trovi di osceno ? Sono liste discutibili , come tutti i poll , ma la maggior parte dei dischi che preferisco ci sono ; ovviamente ne mancano molti e vedo inclusioni da cui prendo le distanze ma se ti aspetta la lista dei dischi preferiti da Scaruffi rimarrai deluso da ogni classifica di questo tipo. Ad ogni modo la discussione mi sembra interessante e spero continui.

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  10. Naturale che ogni tipo di classifica e di “best of” soffra inevitabilmente secondo punti di vista altri (e non di rado persino del proprio) di mancanze importanti; non per questo però dobbiamo avere il prosciutto sugli occhi e non notare come alcune liste provengano da una ricerca comprensiva di un mondo musicale vasto e variegato, ed altre piuttosto strizzino continuamente l’occhio a fenomeni di vendite ed autori di canzoncine orecchiabili tagliando fuori con nonchalance criminale il 90% delle scene musicali, secondo una politica di discriminazione che davvero fa sembrare Scaruffi un San Francesco. La celeberrima “top 500” di Rolling Stone ha in effetti recentemente fatto passi da gigante rispetto a com’era prima, anche se di strada ne ha ancora tanta da fare – noto di sfuggita un “Songs of Leonard Cohen” in posizione 195 ed un “Bad” alla 194, per dire –, ma fino a poco tempo fa era impensabile vedere in top 100 un “Loveless” o un “Remain in Light” o “Fun House” o “Exile in Guyville”: chiaramente un segno dei tempi e di come si stia cercando di adottare un punto di vista più ampio per risultare credibili agli utenti, seppur ancora in mezzo a troppi compromessi (tipo che per il jazz si citino ancora solo gli – effettivamente eccellenti – A Love Supreme+Kind of Blue+Bitches Brew ed il resto ciao ciao che non ci interessa).

    Comunque ci sono numerosi punti del tuo discorso che mi lasciano assai perplesso.
    Uno che “spara a zero” sui Beatles non ritiene Revolver e Abbey Road dischi di tutto rispetto (o, nel caso di Scaruffi, Sgt. Pepper e A.R.). L’italiano non va usato a sproposito. Questa tua sensazione può derivare dall’aspettativa di leggere solo lodi incondizionate quando si parla dei tuoi beniamini.
    Riguardo all’argomento musicale in sé, salta all’occhio un errore: erano tanti i gruppi a fare capolavori nelle avanguardie nei sessanta, e i Beatles non erano certo tra i più incisivi o spericolati: i Fugs di Virgin Forest, le Mothers di Monster Magnet, i Crayola di Arable Land, i VU di European Son, i BS di Broken Arrow, i KC di Moonchild, ma ce ne sono davvero tanti come gli USA, i Fifty Foot House, i Grateful Dead, i Soft Machine, i Silver Apples, eccetera.
    Queste cose non sono spacciate da qualcuno come avanguardia, esse SONO avanguardia, e non vedo come il crescendo orchestrale di Day o i nastri al contrario di TNK possano essere a priori considerati più nobili di tutto questo scenario variegato, complesso e seminale. E, credimi, il fatto che tu consideri tutte queste cose dei “bluff di natura minimalista o peggio ancora casuale” fa sorgere molti dubbi sulla tua preparazione musicale in merito – anche solo per il fatto che il minimalismo di LaMonte Young e Terry Riley è stato un avvenimento importante per la seconda metà del ‘900, parlare di bluff è incomprensibile.
    Come è strano il modo in cui liquidi in una frase i grandi “Anthem of the Sun” e “Ghosts” con parole che non ripeto per senso del pudore. I Grateful Dead sessantiani hanno preso le coordinate da un retroterra culturale vasto, comprendente country e folk americano, jazz, rock ‘n roll e avanguardie (Lesh era stato studente di Luciano Berio, un influenza abbastanza diversa dagli Everly Brothers), e tutte queste cose trovano in Anthem un prodigioso punto d’incontro, che riesce a coniugare la forza delle performance dal vivo, che avranno poi modo di immortalare nel Live/Dead, con la loro perizia come artigiani dello studio di registrazione, un saggio di competenza, fantasia e irruenza che rischia di superare in qualità persino l’After Bathing dei JA uscito l’anno prima. Ayler dal canto suo è uno dei massimi jazzisti degli anni ‘60, infantile ai limiti dell’autismo (basta guardare ai titoli degli album e dei brani) ma inventore di un linguaggio potente che iniettò nel free jazz una nuova componente psicologica, che fece sembrare Coleman un musicista di chiesa. Il suo sax singhiozzante, disperato, cantilenante costituì un fondamentale momento di rottura con il linguaggio derivato da Charlie Parker (di cui probabilmente Ayler costituisce l’aspetto più inconsciamente profondo), e che aprì nuove importanti porte al jazz degli anni ‘70 – basti pensare a Braxton che indubbiamente ha dovuto tener conto anche della sua eredità; tutto questo rinnovando con prepotenza il concetto di improvvisazione collettiva, grazie al suo circondarsi di gente come Garry Peacock, Sonny Murray o addiritura Don Cherry, tutti loro elementi fondamentali per l’intessitura della sua arte. Liquidare tutto questo con i termini che hai utilizzato è di un pressapochismo sconfortante.

    Il punto è che, come immaginavo, tu consideri grande musica solo ciò che è melodico e ha una struttura bella secondo un punto di vista che va fino all’ottocento. Ergo, quando parli della tua “vasta preparazione in campo classico, jazz e rock” intendi in realtà solo la classica pre-Schoenberg/Stravinskij, il jazz senza il free-jazz e tutto ciò che è accaduto di conseguenza, il rock depurato dalle contaminazioni avanguardistiche e di free-jazz con tutte le conseguenze. Un punto di vista del genere è ok per un qualunque ascoltatore (ognuno ha il diritto di ignorare quante parti della storia della musica che gli pare se gli fa piacere, esattamente come uno può leggere con piacere dei libri senza per forza affrontare il Don Chisciotte di Cervanter e l’Ulisse di Joyce), ma ovviamente diventa inaccettabile per una persona che si propone di fare un discorso critico sulla musica – affermi poi di adorare Coleman, ma se trovi Ayler inascoltabile non vedo come tu possa apprezzare cose come il “Free Jazz” (il suo più grande capolavoro, per inciso), “Ornette!” o la “Chappaqua Suite”. Il linguaggio musicale da quasi un secolo ormai non si può più ricondurre solo allo spartito medievale, sono state esplorate le possibilità del rumore, sono stati scoperti modi altri di intendere la musica semplicemente cambiando nazione, è anche avvenuto che persone senza grande preparazione accademica abbiano influito pesantemente sulla storia della musica; non si può ignorare tutto questo. Già in genere i discorsi sulla preparazione accademica necessaria per comprendere davvero la musica sono spesso fallaci: un compositore ha scritto un medley dei Metallica per orchestra sinfonica, ma l’importanza musicale dei Metallica nella musica moderna non si evince certo da queste baggianate; e non si può aspettare che il mondo accademico si esprima sui Germs o sui Fear per ritenerli importanti, è perlopiù fuorviante. Conosco un uomo che ha speso mezza vita a insegnare organo al conservatorio concentrandosi sugli organisti francesi cristiani dell’ottocento (ma non ignaro di autori contemporanei come Pärt); ora, se quest’uomo dichiarasse per esempio che Edgar Varése ha fatto musica brutta e inascoltabile, potrei benissimo alzare la manina e discuterne, poiché la sua preparazione accademica non gli consente appunto di per sé di mettere bocca con autorevolezza su ogni ambito musicale.
    La melodia orecchiabile e la struttura armonico/ritmica ben definita secondo i canoni pre-novecenteschi non può venire demonizzata, insomma, ma da lì ad alludere che è l’unica forma musicale degna di nota e che le eccezioni siano perlopiù onanismi e chincaglierie senza grande valore è terribilmente limitativo. All’inizio io consideravo il metal inteso come Iron Maiden+Dream Theater+Metallica, ma se si vuole fare un discorso serio sull’heavy-metal sarebbe davvero avvilente tagliare fuori tutto ciò che è accaduto dagli Slayer ai Nile, ovvero tutte quelle band importanti che hanno saputo aggiornare/reinventare/disintegrare il linguaggio metallico rifiutando ogni genere di melodia orecchiabile comunemente intesa; poiché la musica è un universo di cose e tutte con la loro importanza, e in un discorso critico tutto questo conta, deve contare.

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  11. Avevo detto che non mi ero offeso ma solo irritato per il tuo primo intervento ma devo rivedere il mio giudizio perchè con quest’ultimo intervento poteri sentirmi offeso se non fosse che non prendo sul serio le discussioni musicali. Quando ho affermato che avevo una certa preparazione mi riferivo anche alla musica classica di Stravinskij e Schoenberg che aimè vengono sistematicamente citati da chi vuole prendere le difese di un certo rock sperimentale senza capo nè coda. La musica di quei 2 musicisti si basava su una struttura musicale rigidissima dove ogni nota aveva una sua funzione nel contesto della composizione , altro che sperimentazione ! Per parlare di certi nomi bisogna avere un minimo di preparazione che può venire solo dallo studio e dall’ascolto di anni e non certo dal leggere un commento qua e la. Conosco a memoria centinaia di brani di musica classica , intendo nota per nota, e ritengo di avere i mezzi per analizzare la struttura di quello che ascolto , se un disco non ha brani con una struttura logica come faccio a dire che sia grande musica? Parli di avanguardia spericolata ma forse sarebbe il caso di approfondire l’argomento avanguardia prima di parlarne. Riguardo il jazz ritengo che il free jazz sia nato e morto con Coleman e che le rivoluzionarie note di Free jazz siano diventate ben presto facile formula nelle mani di Ayler e tanti altri che per incapacità hanno seguito la , facile, strada prendendone solo la parte deteriore. Giudizio molto diffuso verso gli esperti di jazz, fidati. Ho letto molte enciclopedie jazz e quasi tutte indicano il free e la fusion come la tomba del jazz dopo pochi , e fondamentali , dischi che però hanno tracciato una strada fin troppo facile da seguire. Inoltre La monte e Riley hanno fatto cose valide ( non certo capolavori ) ma il minimalismo è diventato ben presto facile formula ( a dir poco ) e ha lasciato ben pochi segni nella musica del ‘900. Se certi dischi rock non vengono inclusi nei vari polls non è certo per ottusi della critica! Se quella critica tende a preferire belle canzoni non vedo come gli si possa dare addosso. L’unica cosa che devo rimproverare a quel tipo di critica è la tendenza a fare di tutta l’erba un fascio e anche i pochi ( pochissimi ) nomi veramente validi nel campo della psichedelia, del progressive , delle suite , delle jam sessions vengono esclusi da queste iniziative in modo inaccettabile dato che non è possibile che interi settori non abbiano prodotto niente di valido. Lo stesso per l’heavy metal di cui quei 4/5 nomi che ritengo veramente validi non li ho mai trovati in quelle iniziative. Però la maggior parte dei dischi che preferisco anche dopo decenni dal primo ascolto sono dischi di canzoni e non per ottusità. Tra i brani che hai citato come vera avanguardia mi sembra ci sia ben poco di veramente valido. Monster magnet di Zappa dopo i primi , validi , minuti di suoni spaziali diventa mera cacofonia ( ben altri sono i capolavori di Zappa ), Moonchild dei King crimson mi sembra il brano meno valido del capolavoro d’esordio del gruppo ( anche in questo caso sono ben altri i capolavori del gruppo ) : dopo la melodia iniziale , e non memorabile , seguono 10 minuti di sperimentalismi ascoltabili e nient’altro .European son dei Velvet sono 11 minuti di rumore e nient’altro , minuti abbastanza trascinanti ma rimane solo rumore oggettivamente. Parable dei Red Crayola è improvvisata sul momento e contiene qualche momento musicale valido tra tanti minuti di caciara. Ci sono alcuni brani di avanguardia vera che considero capolavori da accostare ai brani dei Beatles che ho elencato ma credo siano ben altri.

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  12. X genericamentegiuseppe: scusa ma non sono riuscito a capire il senso di quello che hai scritto. Dati oggettivi non esistono ma esiste l’avere una preparazione di base che non può esserci se ci si basa su un’unica campana. E se non si conoscono gli elementi su cui si basa la musica è difficile dare un giudizio non dico oggettivo ma anche solo autorevole. Comunque hai citato Alberto Basso di cui ho la, forse ,miglior enciclopedia di musica classica che abbia mai letto, se è ancora in circolazione te la consiglio vivamente.

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    1. Mi spiace se non sono stato chiaro. I dati oggettivi esistono, solo non sono qualitativi, cioè non ti aiutano a dare un giudizio. L’uso di una particolare soluzione armonica, un cambio di ritmo, insomma quegli elementi strutturali che puoi dedurre dallo spartito quando c’è o comunque dall’ascolto attivo, sono di per sé oggettivi ma puramente tecnici. Infatti esistono i musicologi e i critici che sono due bestie diverse. Alberto Basso (di cui posseggo tutto, avendolo studiato al corso di Musicologia sotto la dolce pressione di Sergio Miceli, altro musicologo per me inarrivabile) analizza la musica da una prospettiva musicologica, non si pone dal punto di vista del giudizio ma dello scienziato di fenomeni (in questo caso musicali). Il critico utilizza i dati oggettivi per costruire categorie, spesso fallaci, ma che servono per mettere ordine nel mondo della musica (chessò, per fare un esempio di fallacia, definiamo rock un genere musicale dove un elemento fondamentale è la distorsione della chitarra, eppure nel rock esistono diversi complessi che non utilizzano la chitarra).

      Il giudizio invece è la sintesi di dati oggettivi (cioè tecnici) e dati soggettivi (ovvero estetici). Ma anche i dati estetici sono soggetti a regole, strutture, che però non essendo oggettive sono il frutto di modelli di cultura (per dirla alla Ruth Benedict), oppure di ideologie o filosofie di pensiero. Se invece ti interessa approfondire l’argomento di consiglio “Arte come esperienza” di John Dewey, non parla solo di critica ma di arte in senso lato, ed esprime con maggior efficacia ciò che io con grande goffezza sto provando a spiegarti.

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  13. A proposito di Alberto Basso ho risfogliato ieri la sopra citata Enciclopedia della musica e dimenticavo che il buon Alberto ha dedicato anche un pò di spazio al rock, però ha sparato a zero su quasi tutto salvando 5 o 6 nomi in tutto. Ai Beatles ha dedicato più spazio che a qualunque jazzista tranne Ellington e anche più spazio che a tanti compositori di musica classica. Dopo aver lodato la vena compositiva inesauribile di Lennon e Mc Cartney ha giustificato la sua ammirazione dicendo che : ” nel vasto emporio di eroi effimeri del rock i Beatles sono tra i pochi destinati a rimanere nel tempo; partiti da un genere facile seppero trascenderlo dando sfogo ad una fantasia dirompente innestandola su un’ispirazione melodica tanto più eccezionale in quanto fiorita dentro un genere decisamente antimelodico”. Se lo includi tra i critici non ti sei posto il problema che forse l’ironia del titolo del tuo post ( libero di scrivere quello che vuoi nel tuo blog sia ben chiaro ) sia forse leggermente superficiale ? Non ci sono solo fans e ascoltatori occasionali a pensare che gli odiatissimi scarafaggi siano stati la band più creativa. E ribadisco che non sono qui per decantare la superiorità del gruppo ma solo per puntualizzare tante inesattezze che si scrive su di loro e sui loro fans che non sono solo ragazzette senza più capelli da strappare perchè se li sono strappati tutti.

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    1. Basso, che ammiro e ho studiato con passione negli anni universitari, non è un critico, è un musicologo. Come ti ho scritto sopra i suoi strumenti non sono quelli del critico, e non è infatti il suo ruolo (il fatto la citazione è molto infelice, il rock non era un genere anti-melodico, anzi, proprio le melodie dei Beatles sono ispirate alle complesse melodie dei gruppi rock anni ’50 come i Crickets, oltretutto a livello storico ad oggi si può dire che di quella stagione sono sopravvissuti parecchi gruppi e artisti, riempiono gli stadi i Rolling Stones, e forse il gruppo con l’aura più mitologica sono i Pink Floyd).

      Per dire: mi sembrerebbe piuttosto strano che Basso in suo saggio citasse Bach come un autore infinitamente più dotato del corista da chiesa di parrocchia Händel (sullo stile di Scaruffi!), il suo mestiere è quello dello speleologo musicale, decripta gli spartiti tramite strumenti di contestualizzazione storica (la così detta paleografia musicale! che roba fighissima, fra l’altro), è proprio un’altra prospettiva. E il mio post prova a mettere in luce anche le criticità proprio di questi approcci che si sono susseguiti negli anni. L’unica vera analisi contestuale dei Beatles che ho trovato in vita mia è quella di Franco Fabbri, anche lui musicologo (oltre ad ex membro dei leggendari Stormy Six) che però invece di lanciarsi in voli pindarici sulle indiscusse qualità innate dei quattro prende mano agli spartiti e parte da quelli. E infatti Fabbri non è un demolitore, anzi, è anche uno che ha descritto l’analisi di Scaruffi come «una completa bufala», però uscendo fuori dai canoni ripetitivi dell’agiografia delinea in maniera più completa e veritiera la qualità della musica dei Beatles. Chitarra alla mano leggere e suonare mentre Fabbri spiega fa capire tante cose, intanto di come si strutturava il genio melodico di McCartney e Lennon, e poi su quali ricorsi storici ponevano le proprie fondamenta. Non mi pare nel post di aver denigrato nessuno, ma è giusto mettere in luce che la grandezza dei Beatles non fosse superiore ad ogni gruppo coevo, così come quella di Beethoven o di Charlie Parker, oppure di Picasso o Dostojevski.

      L’esaltazione agiografica è un difetto che ha diversi perché, non solo antropologici ma anche neurobiologici, ma è comunque un difetto prospettico che deforma la storia. Non si toglie qualità al giro di chitarra di I Wanna Be Your Man facendo notare elementi storici-contestuali come questo:

      «L’irruzione sulla scena dei Beatles nel 1963 ha l’effetto di scalzare molto rapidamente gli Shadows dalla testa delle classifiche, dall’isteria dei fan e dalla considerazione dei critici, ma d’altra parte si può dire che confermi o addirittura accentui il loro ruolo di punto di riferimento per i musicisti: in tutta la prima fase del successo dei Beatles, mentre le ragazze quindicenni fanno a gara per riconoscere le voci di John, Paul e George, i loro compagni di scuola continuano a insistere che Hank Marvin suona la chitarra molto meglio, che Brian Bennett è infinitamente più bravo di Ringo, che i dischi degli Shadows hanno un suono più avanzato di quelli dei Beatles.
      [Si consiglia a questo proposito di confrontare la tecnica chitarristica e il sound di Marvin in brani come Wonderful Land (1962), Atlantis (1963) o The Miracle (1964), con l’interludio strumentale di Wreck dei Gentle Giant (1971). Composizione e sperimentazione nel rock britannico, 1966-1976]»

      Ammettere un dato storico e tecnico non significa inficiare sulle qualità oggettive, significa solo superare la coltre nebbiosa di testimonianze e scritti ragionati sulla base della nostalgia e sulla potenza mediatica di un certo fenomeno, ragionando sui termini storici che hanno portato alla sua mitologizzazione e tirando le fila di ciò che rimane.

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  14. Le risposte che dai sono spesso divagazioni fuori da contesto della discussione e quella citazione di Beethoven , Charlie Parker e Picasso non sono proprio riuscito a capire che nesso avesse con il resto del discorso. Comunque il rock n roll ERA un genere antimelodico. Si basava prevalentemente sul ritmo e sull’interpretazione data al motivo più che sul motivo di per se. Buddy Holly ha realizzato alcune delle poche valide melodie dell’epoca ma la sua musica era prevalente ritmo (Oh boy o Peggy sue per es. ). Quando Basso ha detto che i Beatles sono tra i pochi destinati a rimanere nel tempo ( e non sono d’accordo con un’affermazione così netta ) si riferiva ai circuiti di musica “seria”. Inoltre l’analisi di Fabbri oltre a non essere vangelo mi sembra insensata : che gli elementi degli Shadows erano tecnicamente superiori ai Beatles è palese come è palese che centinaia di gruppi sono superiori tecnicamente ai Beatles. L’originalità dei Beatles stava nelle doti compositive e nella padronanza della melodia e dell’armonia ( gli elementi più importanti della musica classica ) e non certo nelle doti di strumentisti. E se la musica dei Beatles fosse solo per nostalgici sarebbero stati dimenticati da decenni come sono stati dimenticati quasi tutti i gruppi che ascoltavo negli anni ’80 da ragazzino ( Europe,Bon Jovi,Duran Duran ,Wham,Pet shop boys e la lista è lunghissima ).

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    1. In che senso «fuori dal contesto»? La questione è sempre la stessa: quando si parla dei Beatles come “la più grande rock band di tutti i tempi” si sta facendo dell’agiografia, così come è già accaduto in passato, e alcuni degli esempi più famosi di tutti i tempi sono Beethoven, Charlie Parker, Picasso e Dostojevski. Non stiamo mica parlando di massimi sistemi qui, studiosi come Maynard Solomon hanno speso anni della loro carriera accademica per ricostruire parzialmente l’ultimo decennio di vita di Beethoven, scansando con fatica colossale l’enorme quantità di miti e bufale ormai tragicamente storicizzate sul suo conto. Non sono dinamiche nuove nel mondo della musica e dell’arte in generale, per una questione sia di semplificazione sia di mitizzazione si tendono a sopravvalutare i meriti di certi autori oltre il limite dell’umano. Ma non è che l’opera di ricostruzione della biografia di Beethoven degli ultimi vent’anni abbia svilito quello che è stato uno dei più grandi geni della Storia della Musica, semplicemente invece di creare inutili podi che non hanno alcuna funzione critica né storica, ogni tanto si cerca di ridonare umanità a figure altrimenti ridicolmente idilliache.

      Adesso Buddy Holly è uno dei pochi ad aver composto delle belle melodie negli anni ’50? E Johnny Ace? E i Clovers? Platters? Silhouettes? Flamingos? Del Shannon? Frank Sinatra? Jackie Wilson? Lo stesso Elvis di certo non disdegnava una bella ballata melodica, anzi. Gli anni ’50 erano divisi da generi più derivativi degli spiritual, del gospel e dal blues e rhythm ’n’ blues (e il country e lo skiffle, ecc.), era una vera e propria lotta per la cima delle classifiche tra melodie e ritmi dannati, dove non sempre i due elementi erano precisamente separati nella canzone. Anche Fats Domino, Bo Diddley, James Brown, mica erano esclusivamente ritmici per contratto. Fra l’altro, parlando di musica “seria” (immagino tu intenda “d’arte” o “colta”) i Beatles sono comunque roba del passato, oggi nel repertorio classico è quotidiano trovarci anche gli AC/DC (cosa che fra l’altro ritengo imbarazzante) e compositori come Gabriel Prokofiev, sebbene le palesi nobili origini, nei palchi di tutto il mondo (e tra poco anche in Italia per l’Emilia Romagna Festival, se ti può interessare, io ci andrò con un laboratorio di critica musicale che dirigo per conto di ERF e Altre Velocità) propone una musica classica più vicina ai moderni DJ e all’elettronica, perché la musica colta da sempre dialoga col suo contemporaneo, in particolare quello più popolare. Quasi tutta la musica colta contemporanea dialoga con i DJ, anche il popolarissimo Mason Bates ormai ci si è specializzato da anni, vincendo Grammy e premi internazionali. Ma cosa ci dice questo della musica dei DJ, se non che è un linguaggio grandemente popolare? Oppure è una effettiva legittimazione di qualità superiore al resto della musica pop perché da più di un decennio è ormai nei repertori di gran parte delle orchestre di tutto il mondo?

      Ogni volta che io cito qualche fonte mi dici che non è il Vangelo, e mi sta bene, per me neanche il Vangelo è il Vangelo per cui figurati, però proprio a causa di questo ragiono con la mia testa, non con quello che dice Basso o Bernstein, o quello che dicono Quincy Jones o Frank Zappa. Il fatto che per te la melodia e l’armonia siano elementi fondativi della musica di qualità è una scelta, fra l’altro fortemente antistorica con la critica dagli anni ’30 ad oggi, molta musica che per te è non-musica è ormai assimilata nella cultura popolare internazionale, così come dire che gruppi come i Duran Duran sono oggi dimenticati significa vivere in una bolla (uno dei più grandi registi della storia del cinema, David Lynch, ne ha fatto un documentario di grandissimo successo, per me di una bruttezza unica, ma vabbè). Sempre degli anni ’80 sono ancora popolarissimi Whitney Huston, Prince, U2, e nel mondo del campionamento non di rado mi capitano per le mani dischi di musica ambient giapponesi con remix di canzoni Italo Disco. Porti i tuoi valori e le tue percezioni come oggettive, e su questo non posso francamente controbattere!

      Spartito alla mano, quando leggo la musica di gruppi come Kinks, Who, Beach Boys, rimango sempre incantato dalle intuizioni melodiche e dalle soluzioni compositive, a volte semplici ma efficaci (Strangers) altre notevolmente complesse ma comunque altamente fruibili (Wouldn’t It Be Nice), per nulla inferiori a quelle dei Beatles, che restano comunque le migliori assieme a queste, e non superiori per qualche motivo che non esiste né nel disco né nello spartito, ma solo nella memoria e nell’affetto di un fenomeno mediatico che ha segnato profondamente la cultura pop degli anni ’60 fino agli Oasis (che sinceramente mi sarei risparmiato!).

      Apprezzo molto le tue congetture, si vede che sono frutto di ascolti di qualità e di riflessioni mai campate in aria, alcune cose le ho segnate per approfondirle in futuro, che da studiare ne ho ancora tanto, anzi: non credo si finisca mai.

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  15. Quando parlavo di melodie mi riferivo a melodie di alto livello o almeno di buon livello e i nomi che hai elencato ne hanno fatte ben poche anche solo di discreto livello. Le ballate melodiche di Elvis si basavano prevalentemente sull’interpretazione che ne dava il cantante , dal punto di vista melodico ce ne sono ben poche valide. Fats domino , James Brown o Bo Diddley basavano la loro musica sul ritmo per almeno l’80% . la melodia non era assente ma era quanto meno secondaria. Riguardo gli AC DC presenti nei circuiti di musica classica contemporanea mi chiedo in quale pianeta avviene ciò ! Hard rock e le forme più estreme di rock ( punk,hardcore,indie rock,grunge,heavy metal) sono considerati dalla critica seria ( o colta ) uno spreco di decibel e preciso che con quel tipo di critica non ho nulla da spartire. Per chiudere il discorso Beatles, considerato che il mio intervento fu spronato dal primo commento al post, se qualcuno vuole sapere perchè critici di musica classica considerano i Beatles qualcosa più di un gruppo rock e mastica un pò di inglese c’è su youtube il documentario di Howard Goodall” The Beatles : a musical appreciation e analysis by composer” oppure dal lontano ’66 o ’67 il documentario di Bernstein ” Talks about the Beatles”. Riguardo i Duran Duran non vedo come un documentario possa dimostrare che ci sia ancora interesse verso un gruppo che ascoltano solo i nostalgici e forse neanche loro! Poi hai messo Prince nella lista dei nomi degli anni ’80 sopravvissuti al tempo ma Prince è un genio , uno dei musicisti più originali del secolo scorso. Come fai a metterlo nel calderone dei fenomeni passeggeri di quel decennio.

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    1. Anche per me Prince è un genio, soprattutto in confronto agli altri artisti elencati, ma non ho un bias che mi fa vedere solo ciò che mi piace. I dischi di Whitney Huston vendono ancora tantissimo, la sua musica ha segnato più di una generazione (hai idea dell’impatto che ha avuto “A Song for You” di Robyn Crawford?), detto ciò per me è musica buona giusto per fare ambiente in ascensore, ma il resto del mondo non la pensa come me, e ciò lo devo prendere in considerazione. Ma poi, non conosci il ventennale rapporto tra il metal e Beethoven? Gran parte dei Festival di musica classica nell’est Europa ospitano gruppi metal (e non solo https://www.kerrang.com/features/10-times-rock-and-metal-artists-collaborated-with-classical-musicians/), così come anche in Italia non è raro vedere concerti con musiche dei Led Zeppelin (pensa all’orchestra sinfonica Rossini di Pesaro, curioso fra l’altro ricordare che per Robert Plant la musica dei Beatles era giusto adatta ai bambini, ma sono bizze tra musicisti, per cui irrilevanti così come le pacche sulle spalle), oppure dei Pink Floyd (con i quali ci ammorbano tutti gli anni con i soliti pezzi), e ovviamente gli amatissimi Queen (a livello orchestrale il gruppo più rappresentato nei teatri di tutto globo, purtroppo), perfino la nostra illustre Società del Quartetto non ha problemi ad accostare Verdi, Rota, Puccini, Morricone e Gershwin ai Queen ogni volta che si presenta l’occasione. Sempre per chi mastica l’inglese propongo qualcosa di più contemporaneo e meno agiografico, ovvero: https://www.youtube.com/watch?v=HmjRM3AziTY (notare che, per l’ennesima volta, anche in questo video non si critica la qualità, ma si mettono semplicemente i “puntini sulle i”, cosa che, noto costantemente, fa risuonare gli animi come il più screanzato degli insulti)

      Sul fatto poi che la “critica colta” spregi generi come il punk e l’hardcore vorrei davvero sapere dove l’hai tirata fuori! Il più importante critico rock contemporaneo, a cui io sono avverso ma chissene, è Simon Reynolds, ma nella critica colta ci metterei un botto di gente, anche i giornalisti di Wire, del NYT, in Italia quantomeno Blow Up, a poi esistono manuali di musicologia sul punk, non conosco letteralmente nessuna redazione – compresa quella della SdMI – dove i generi da te elencati non siano considerati artisticamente validi! Non so quale critica ti riferisci, ma è una critica che vive fuori dal mondo, immagino non sappiano nemmeno cosa sia il live coding… Io capisco benissimo non amare certi generi, per dire: io e il metal siamo lontani ANNI LUCE, ma non mi sognerei mai di definire il metal uno spreco di decibel in senso critico, per fare le battute al bar tutti i giorni, ma in un discorso serio sarei immediatamente riempito di pomodori in faccia a ragion veduta.

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  16. Evidentemente diamo significati molto diversi a certe parole. Io parlavo di critica specializzata in musica classica non riviste generiche come Blow Up o le altre che hai citato. E quei festival ospiterebbero anche il liscio o Nino D’angelo se ciò gli portasse soldi. Certe orchestre eseguono i Queen perchè gli porta soldoni e non certo perchè ritengono che siano degni della musica colta. La critica e in generale i circuiti di musica classica , non quei festival o quelle riviste che hai citato dato che non sono classificabili in quel modo in nessuna circostanza , per il 99% liquidano in modo sprezzante quella roba, basta leggere le loro dichiarazioni.

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    1. La critica specializzata in musica classica è sprezzante di tutto ciò che non coglie gli elementi essenziali della musica classica occidentale. Così come la critica jazz, la critica rock, la critica ideologica e la critica post-strutturalista, e via discorrendo, ogni critica specializzata guarda al mondo dell’arte con una prospettiva pregiudiziale sulla base dei propri precetti di cosa sia Vero e cosa sia Sbagliato (proprio nel saggio che ti citavo prima, “Arte come esperienza” John Dewey se ne discerne in modo brillante, continuo a consigliartelo). Il mio è un percorso personale che cerca una trasversalità un po’ più pragmatica (non a caso negli ultimi due anni mi sono specializzato in studi neuroscientifici e videoludici, per avere altre fonti d’interpretazione), l’idea che esista una sola forma di critica accettabile (che guarda caso è sempre coincidente con i nostri gusti!) l’ho superata da tempo.

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  17. Ma non ho mai detto che ci debba essere un’unica critica accettabile e ho specificato che ascolto classica,jazz e rock indifferentemente da quasi 30 anni , ho specificato anche che non condivido nessuno dei punti di vista di quel tipo di critica. Purtroppo non ci capiamo. Poco male. Comunque grazie per la chiacchierata , fa sempre bene uno scambio di idee.

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  18. I circuiti di musica seria… i gruppi dimenticati e quelli non dimenticati… la statura di una band quantificata dal fatto che i suoi brani vengano eseguiti da un’orchestra oppure no… le melodie di “alto livello” e quelle solo di “discreto livello”… la critica classica-accademica-colta come parametro di giudizio per giudicare tutto da Tomàs Luis Victoria ai Black Flag fino ai Burning Star Core e Wadada Leo Smith… Grateful Dead gente che faceva musica casuale, Ayler uno che ha scelto la musica facile…
    Già avevo le mani tra i capelli, ma ora solo Pasta Senpai ha l’espressione giusta per tutto ciò: CONFUSION OF THE HIGHEST ORDA!

    Comunque Nagai io non ti voglio alcun male, sappilo, anzi per salutarci in allegria tra tarallucci e vino tempo fa stilai un elenchino di miei dischi del cuore degli anni ’60 – periodo che, ti posso assicurare, ai tempi scandagliai peggio di un palombaro sotto steroidi – che se vuoi posso condividere in un commento qui sotto; però appunto, ti chiedo un nulla osta per ciò.

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  19. Mai affermato che la statura di un gruppo dipenda dall’esecuzione di orchestre ( se rileggi quello che ho scritto vedrai che ho sottolineato l’inutilità di questo dato ) e non ho mai detto che possa esistere una critica in grado di coprire tutto. Perdiamo tempo tutti e 2 se travisi ( volutamente ? ) quello che scrivo. Comunque attendo con trepidante e spasmodica attesa la tua lista dei dischi preferiti decennio per decennio.

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  20. Bene, li misi più o meno in ordine cronologico. Questi sono gli album che sceglierei se un pazzo mi puntasse una pistola alla tempia intimandomi “Scegli 81 dischi da salvare degli anni ‘60 e il resto buttalo alle fiamme”.

    We Insist! (Max Roach), Charles Mingus Presents Charles Mingus (Charles Mingus), My Favorite Things (John Coltrane), Free Jazz (Ornette Coleman Double Quartet), Explorations (Bill Evans Trio), Explorations (Jimmy Giuffre), Nefertiti, the Beautiful One Has Come (Cecil Taylor), Fantasias (Sandy Bull), The Black Saint and the Sinner Lady (Charles Mingus), Cosmic Tones for Mental Therapy (Sun Ra and his Myth Science Arkestra), Out to Lunch! (Eric Dolphy), Point of Departure (Andrew Hill), Spiritual Unity ( Albert Ayler Trio), Ghosts (Albert Ayler Quartet), A Love Supreme (John Coltrane), Dialogue (Bobby Hutcherson), Ascension (John Coltrane), Highway 61 Revisited (Bob Dylan), Meditations (John Coltrane), The Magic City (Sun Ra), Complete Communion (Don Cherry), Freak Out! (Frank Zappa & the Mothers of Invention), Unit Structures (Cecil Taylor), Blonde on Blonde (Bob Dylan), Sound (Roscoe Mitchell Sextet), The Doors (Doors), Conquistador! (Cecil Taylor), The Velvet Underground & Nico (Velvet Underground & Nico), Between the Buttons UK (Rolling Stones), Intents and Purposes (Bill Dixon Orchestra), The Parable of Arable Land (Red Crayola), Are You Experienced USA (Jimi Hendrix Experience), Safe as Milk (Captain Beefheart & his Magic Band), The Piper at the Gates of Dawn (Pink Floyd), Goodbye and Hello (Tim Buckley), A Genuine Tong Funeral (Gary Burton/Carla Bley), Strange Days (Doors), White Light/White Heat (Velvet Underground), After Bathing at Baxter’s (Jefferson Airplane), We’re Only in It for the Money (Frank Zappa & the Mothers of Invention), Song Cycle (Van Dyke Parks), Songs of Leonard Cohen (Leonard Cohen), The Hangman’s Beautiful Daughter (Incredible String Band), A Beacon from Mars (Kaleidoscope), Atlantis (Sun Ra and his Astro-Infinity Arkestra), Uncle Meat (Frank Zappa & the Mothers of Invention), Anthem of the Sun (Grateful Dead), A Saucerful of Secrets (Pink Floyd), Music in a Doll’s House (Family), The Jazz Composer’s Orchestra (Jazz Composer’s Orchestra), Electric Ladyland (Jimi Hendrix Experience), The Marble Index (Nico), Astral Weeks (Van Morrison), Kick Out the Jams (MC5), Eternal Rhytm (Don Cherry), The Gilded Palace of Sin (Flying Burrito Broters), The Velvet Underground (Velvet Underground), Happy Sad (Tim Buckley), Our Mother the Mountain (Townes Van Zandt), In a Silent Way (Miles Davis), Karma (Pharoah Sanders), For Alto (Anthony Braxton), Live Dead (Grateful Dead), Tommy (Who), Trout Mask Replica (Captain Beefheart & his Magic Band), Everybody Knows This Is Nowhere (Neil Young with Crazy Horse), Electronic Sonata for Souls Loved by Nature (George Russell), Liberation Music Orchestra (Charlie Haden’s Liberation Music Orchestra), The Stooges (Stooges), Ummagumma (Pink Floyd), Volunteers (Jefferson Airplane), Five Leaves Left (Nick Drake), The Band (Band), Bitches Brew (Miles Davis), Mu (Don Cherry), In the Court of the Crimson King (King Crimson), Weasels Ripped My Flesh (Frank Zappa & the Mothers of Invention), Lorca (Tim Buckley), Moondance (Van Morrison), Valentyne Suite (Colosseum).

    Enjoy. Scusa se non giudico chi abbia “melodie di alto livello” e chi solo di “discreto livello”, e se non so cosa la critica accademio/classica/colta abbia analizzato dei suddetti dischi, e se contiene molti “musicisti dimenticati” e molta musica “casuale” e molta musica “di strade facili”, ma… tant’è.

    E non te la prendere se tempo fa scrissi qualche cosa di un po’ ironico, ricordati che secondo Gogol’ “l’alto, ispirato riso è degno di stare a paro con l’alto impeto lirico, e un abisso lo divide dalle smorfie del pagliaccio da fiera”.

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  21. Nel tuo P.S. hai sottolineato l’importanza dell’ironia nel vivere quotidiano di tutti noi e sei stato profetico dato che le risate che mi hai fatto fare con la tua lista giustificano il tempo che ho perso nei vari interventi su questo post. Avevo già notato una leggerissima influenza di Scaruffi nel tuo pensiero ma questa lista è la trascrizione testuale dei dischi jazz e rock preferiti da SuperPiero. Ho controllato i dischi jazz preferiti dal Vate e li hai inclusi proprio tutti. Sui dischi rock non avevo dubbi ed infatti li hai inclusi tutti. Sei un autentico divulgatore dello scaruffi-pensiero, un profeta che prepara il mondo all’Avvento ( avvento che purtroppo c’è già stato considerato l’esercito di navigatori di internet che basano da anni la totalità delle “loro” opinioni su quelle del Messia ).Per curiosità quali sono i tuoi nomi preferiti per gli anni ’70 ? Scommetto Robert Wyatt , i Faust , i Pere Ubu , i Neu , I Popol vuh , i Can , Klaus Schulze e dammi il tempo di controllare gli altri eletti dal Guru. Quali sono invece i nomi che consideri più sopravvalutati ? Scommetto i Beatles, Elvis , Prince , Bowie e U2. Buona domenica

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  22. Ma a me fa solo che piacere di far sorridere gli altri! E ovviamente ricambio con calore l’augurio di una buona domenica.

    A onor del vero è da un pezzo che non osservo le top sessantiane dell’Esimio, però credevo che il Dialogue di Hutcherson non avesse un 8, e nemmeno (il celeberrimo) Point of Departure. Sul versante “rock” invece, l’Esimio incensava l’Indian War Hoop dei HMR e Ptoof! dei Deviants, che non sono inclusi nella mia umile punta di piramide.
    Così ho fatto qualche conto, e difatti ho constatato come la mia lista sul versante jazz sia congruente alla Scaru/Krentziana solo per il 50%, mentre sul versante “rock” è congruente per il 67% – e la matematica non è un’opinione.
    Quindi l’assurzione che io abbia fatto un evidente copia-incolla da qualcuno in particolare è abbastanza sciocchina; e ci sta, è domenica e tutti siamo un po’ stanchini 🙂

    Comunque appunto è solo un listino preferenziale, tutti noi credo ne abbiamo uno in testa; non intendo certo di iniziare una discussione in merito.

    Buon proseguimento di settimana

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  23. Non ci posso credere ! Veramente mi hai segnalato 3 o 4 dischi scaruffiani ( su 81 !) che non figurano nella tua lista ? Sei uno spasso. Inoltre non hai risposto ai miei quesiti e chi tace acconsente. Per chiudere l’intervento e non fossilizzare il discorso sui Beatles vorrei segnalare l’impatto disastroso che il pierino ha ottenuto verso intere legioni di infaticabili navigatori della rete: nomi come Elvis Presley, Prince,Jimi Hendrix , Davis Bowie , Led zeppelin ( che considero con poche aggiunte i maggiori talenti espressi dal rock nella sua storia ) vengono sistematicamente ridimensionati da ascoltatori palesemente condizionati dalle schede del Sommo in favore di gruppi alternativi spesso incapaci di dare una struttura musicale ai loro brani. Anche chi non è proprio un clone di Scaruffi tende spesso a rivedere la propria opinione su gruppi che ascoltava da ragazzino per spostarsi verso dilettantismi scambiati per avanguardia data la mancanza di una preparazione musicale di base oltre che di fonti da contrapporre al blog di Scaruffi. Ritengo tutto ciò sia molto triste.

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  24. Davvero una discussione molto articolata e stimolante. Non l’ho ancora letta tutta ma voglio comunque aggiungere una considerazione magari scontata o che avete fatto e non ho ancora letto. La storia del pop/rock è principalmente la storia di un suono più che di un codice (come in parte avviene per la musica classica). Un suono che è stato distorto in mille modi differenti e non può essere descritto facilmente. Un suono che viene appunto registrato. Per questo ritengo impossibile affermare che una melodia più articolata sia necessariamente migliore di una che lo è meno quando si parla di pop/rock. Lo stesso vale per altri presunti parametri utilizzati per testare la qualità di un brano o di una canzone, soprattutto quelli tecnici.

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    1. Diciamo che i parametri tecnici sono criteri oggettivi ma non qualificativi. Una band può suonare male ma fare buona musica, così come un pittore può rimaneggiare con la prospettiva o uno scrittore può fregarsene della punteggiatura. La questione tecnica ci può indicare un’intenzionalità in relazione alla grammatica di riferimento (essere “di rottura” oppure “tradizionalisti”) ma di per sé non può esaurire il giudizio critico su un’opera.

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  25. Certamente. Quello che volevo puntualizzare è che quella che definirei impropriamente la natura della sottocultura del rock and roll, presenta molte differenze sostanziali rispetto quella della musica classica. Lungi da me pensare che siano compartimenti stagni ma i parametri con cui valutiamo questi due ambiti non possono essere gli stessi.

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  26. Sarà banale, ma parlare della “più grande rock band di tutti i tempi” secondo me non molto ha senso (come afferma anche l’autore mi pare di capire). Ognuno ha una sua personalissima opinione a riguardo, a maggior ragione i più riguardevoli musicisti (ad esempio secondo Phil Collins, i più grandi di sempre furono gli Acton. Ma chi se li è mai filati gli Acton? Eppure vista l’autorevolezza del soggetto in questione, non mi permetterei mai di contestarlo), e i parametri per elevare una rock band a tale status possono essere molteplici e/o diversi da opinionista ad opinionista. Di certo affascinano di più i pareri di musicisti e critici, perché si presuppone che abbiano una conoscenza più approfondita e valida che fa guadagnare valore alla band prescelta, ma questo non redime l’irridemibile.
    Ma di certo dei Beatles si può dire in maniera unanime che siano la band più venerata e celebrata del XX secolo, sia dal pubblico, sia dalla critica e sia dai musicisti stessi.

    Gli ingredienti del loro successo planetario a mio parere sono ovvi: Prima di tutto erano grandi compositori. Sapevano comporre musica e melodie superbe, irresistibili, struggenti, fantasiose, memorabili. I Beatles ne hanno sfornate a decine, il loro talento compositivo era impareggiabile. E avevano una loro personalità, un loro suono, un loro stile che è diventato talmente iconico da aver travalicato i confini generazionali (forse anche avvantaggiati dal fatto che semplicemente si collocano agli albori della storia del genere della musica commerciale). Questo per rimanere solo alla “superficie” dei loro meriti.
    Hanno apportato delle innovazioni e schemi compositivi che sono state usate e sono tutt’ora usati, ad esempio i cambi di ritmo, nel pop al tempo erano un’eresia (ascoltare We Can Work It Out), lo stile di McCartney al basso e Ringo alla batteria sono stati fondamentali per lo sviluppo del genere. L’uso di scale inusuali (come le scale modali nel pop, poi largamente usate), aver ideato metodi di registrazione e produzione inventati da loro per i loro scopi creativi…

    Certo non furono sempre i primi in tutto (tanto per entrare in polemica coi soliti wannabe Scaruffi che pullulano in ogni post dedicato ai Beatles). Ma non è quello il punto. Il punto è che loro lo facevano meglio. E sapevano associare tutte le innovazioni del tempo (ed era un periodo che ne sgorgavano parecchie in quel periodo, essendo il periodo in cui la musica rock stava passando da fenomeno commerciale a fenomeno artistico-culturale) alle loro doti compositive al loro stile, dando un senso a tutte queste scoperte e ispirando tutti.
    I suoni che hanno tirato fuori nella loro fase più matura li hanno senza dubbio presi dalle avanguardie musicali del tempo (Stockhausen, Berio, Cage…), ma hanno avuto il grandissimo merito di innestarli in strutture musicali altamente fruibili tipiche del pop, facendo di fatto una rivoluzione musicale le cui scosse telluriche di sentono ancora oggi a distanza di 60 anni. Questa loro capacità di portare le avanguardie in superficie facendole digerire alle masse è stato come fare un colpo di stato senza che nessuno se ne accorgesse.
    Holger Czukay rimase sbalordito durante l’ascolto di “I Am The Walrus”, non riusciva a credere di come i Fab Four riuscirono a fondere Stockhausen con la musica popolare, da lì decise insieme a Karoli di fondare i CAN.
    Non parlo dell’autorità che hanno sempre avuto: coverizzati, parodiati, amati e anche odiati, ma pur sempre baricentrici nel panorama musicale mondiale: al di là dei più noti aneddoti a partire dall’omaggio di Hendrix, Zappa che li ha sbeffeggiati salvo poi salire sul palco con Lennon entusiasta come un bambino, oppure la versione del White Album suonata dai Phish, la bellissima “Woman” nella versione di Wyatt, gli omaggi dei Type O Negative, i Greatful Dead che suonano loro cover nel garage di casa Garcia mentre il cestista Sarunas Marciulonis andava a chiedere loro di disegnargli le maglie della Nazionale lituana…e ce ne sono altre decine di esempi d’ispirazione e omaggio da parte di grandi e piccoli artisti…

    Finisco il mio pippone dicendo che su una cosa dissento con l’autore: la musica dei Beatles non la so può ridurre ai singoli da 45 giri. Nossignore, questo non lo concedo!
    Forse da prima di Rubber Soul poteva essere così. Ma da Rubber Soul in poi in ogni loro album c’è un lavoro artistico unitario e coerente. Brian Wilson fu stregato da Rubber Soul proprio perché aveva uno stile unitario, fu l’ispirazione per Pet Sounds.
    Revolver fu rivoluzionario per l’uso creativo dello studio di registrazione. Non furono i primi ad avvalersene per scopi creativi, ma dopo che lo fecero loro lo fecero tutti (e qua mi riallaccio al discorso fatto prima), i Residents li omaggeranno e ringrazieranno per questo copertina del loro primo album.
    Sui riempitivi posso anche essere d’accordo, quale album non me ha? Ma un grande album non è solo fatto di singoli pazzeschi, altrimenti se così fosse non esisterebbe. Un album ha senso se è espressione di un lavoro sul suono, sulla musica, sui testi, sulle timbriche, sulla sperimentazione che lo caratterizza.
    Ad esempio Marquee Moon dei Television ha un paio di momenti sottotono, così come Blonde on Blonde di Dylan (tanto per citare due capolavori), ma anche nei momenti sottotono affiora il lavoro musicale che caratterizza il suono dell’album. Lo stesso vale per i Beatles.

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    1. Grazie per il punto di vista esaustivo, ma su una cosa non possiamo essere d’accordo: I SINGOLI!

      So, come ho comunque anche scritto, che la mia è una opinione molto impopolare, ma è frutto di un lungo periodo di studi e comparazioni. Hai citato album del calibro di “Blonde on Blonde” e “Marquee Moon”, che sì, hanno certamente dei momenti leggermente sottotono, ma non hanno Ob-La-Di, Ob-La-Da (faccio questo esempio perché lampante per tutti ma se ne possono fare tantissimi altri). Il fatto però, sempre come dico nel post, è che questo era normale sopratutto tra i gruppi mainstream come i Beatles, Kinks, Rolling Stones, Move (ecc.) la necessità di una costante e irrefrenabile produzione per restare nelle cime delle classifiche mortificava il lavoro creativo.

      I Beatles in 7 anni hanno prodotto 12 album (per gli USA erano 17) e 20 compilation (tra cui il pacco “The Beatles in Italy”, che John Lennon spergiurò essere la prima vera raccolta live della band inglese ed invece era un disco promozione per il film di “Help!”, oggi fra l’altro praticamente introvabile). Questo ritmo non era legato alle urgenze creative (come ha anche spesso ricordato lo stesso Lennon) ma al mantenere alta l’attenzione del pubblico e ad alimentare la “Beatlesmania”. Era un contesto produttivo e mass mediatico molto diverso da quello che viviamo oggi, e la guerra tra le band molto più serrata e vissuta.

      Se in “Blonde on Blonde” ci sono momenti meno ispirati, in “White Album” e “Revolver” ci sono canzoni appositamente composte per riempire i minuti mancanti alla pubblicazione degli album, è c’è una bella differenza! Poi i Beatles potevano avvalersi di una produzione stratosferica che permetteva una maggiore omogeneità interna, cosa che molte altre band non avevano (e si sentiva!), ma ciò non toglie che gli alti e bassi fossero realmente vertiginosi. Ciò non toglie l’impatto culturale di una band da classifica che ti tira fuori “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, al netto delle sue storture e degli esempi meno popolari di scrittura psichedelica più elaborata.

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  27. Sono tornato a visitare questo blog dopo un paio d’anni e vedo che sistematicamente quando si tratta di screditare i Beatles puntualmente viene citata obladì obladà. Su centinaia di blog dove mi sono trovato a curiosare se si parla di Beatles tassativamente si cita quel brano come vertice di infamia, tutti ma proprio TUTTI hanno usato quel brano per affermare la superiorità di altri gruppi dimostrando scarsa quantità di argomenti. Fermo restando che quella canzone la considero banale, basta leggere il testo per capire che è una composizione volutamente infantile ed arrampicarsi eternamente ad un pezzo volutamente minore indica solo disperazione. Zappa ha fatto tante canzonacce del genere nei suoi primi dischi, i Velvet underground anche. Dylan ha scritto tante canzoni dove prevale il testo sulla musica e non mi suffermo sull’inconsistenza del 90% delle jam sessions e suites dell’epoca perchè l’ho fatto a lungo nei precedenti interventi. Inoltre Revolver , dopo aver sottovalutato a lungo diversi brani, mi sembra oggi uno dei pochi dischi senza brani da scartare. E poi la distinzione che fai tra critico e musicologo la trovo davvero curiosa, ricordo che lo facesti lo stesso con alcuni miei interventi. In pratica se qualcuno dice che i Beatles sono sopravvalutati è un critico se invece dice che i Beatles sono grandi compositori è musicologo ! In realtà i nomi citati in questo post che bolli come musicologi hanno tutti una preparazione musicale inimmaginabile per gli improvvisatissimi “critici” che sostengono la tesi “ibeatlessonosopravvalutati”. Nel caso specifico McDonald ( che a me non piace perchè troppo critico verso tutti ) è un critico che più critico non potrebbe essere a differenza di Scaruffi e di tutti i bloggers che scrivono recensioni senza avere alcuna preparazione musicale.

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  28. Sulle suite/jam free form sono d’accordo con Ron.

    C’è molta spazzatura tra di esse, salvo quei brani in cui c’è un senso nell’ascolto dall’inizio alla fine e dove lo sviluppo è guidato da una struttura musicale e variazioni su di essa che ne rendono godibile e stimolante l’ascolto.

    Ad esempio trovo Marquee Moon formalmente perfetta da questo punto di vista, e European Son invece confusa e noiosa. Lorca di Buckley inascoltabile. In A Gadda Da Vida degli Iron Butterfly una suite congegnata benissimo.

    La suite per antonomasia per me invece resta Shine On You Crazy Diamond. Apice inarrivabile nel suo genere.

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